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Rotta sbagliata sulla “Vittor Pisani” - 3

  • Scritto da Eliogabalo

Il terzo episodio di un racconto inedito di Eliogabalo pubblicato a puntate su IteNovas.com

Erano tempi quelli dove i figli prediletti di Dio iniziarono a pensare che forse bisognava impegnarsi di più se si voleva veramente distruggere ciò che di umano rimane nell’uomo.

Questa volta bisognava rimboccarsi le maniche e darsi da fare, più di quanto avessero fatto vent’anni prima.
Chi lo nega, anche lo scorso tentativo riscosse un certo successo: milioni di morti, carestie, epidemie, disfacimento di imperi, un principio di sudditanza nei confronti degli yankees, disoccupazione, povertà ai limiti del sopportabile e tanto altro che comunque non fu sufficiente a ridurre tutto, ma proprio tutto, a un pugno di cenere. Quindi di conseguenza, perché non riprovarci per vedere se con un po’ più d’impegno si riusciva a fare di meglio?

Di certo non si è rimasti fermi a tergiversare con frasi del tipo: “ma forse non è il caso, ci siamo arrivati vicino la prima volta e non ci siamo riusciti, meglio se lasciamo perdere”.
No! Questi dubbi non sorsero nemmeno per un istante, e quindi successe che quando Salvatore Bassu si preparava a innamorarsi di quella che sarebbe stata la compagna di una vita, quell’impero decaduto che uscì claudicante dal primo conflitto mondiale, si ritrovò d’un tratto a cavalcare l’onda rigogliosa della rinascita, grazie al nuovo partito nazionalsocialista dei lavoratori che si proponeva di abbattere la disoccupazione e ridare un po’ di lustro a quella razza.

Vi ricordate del giovane ragazzo di origine austriache che al tempo della nascita del nostro Salvatore si accingeva a scrivere il suo best seller? Beh pensate un po’, è proprio lui a capo di questo provvidenziale partito.
Quel ragazzo fece proprio passi da gigante: soldato semplice nel Kaiser Heer, aspirante scrittore, dissidente politico, capo di un partito artefice di una miracolosa resurrezione e per concludere in bellezza, dal 1933, cancelliere, idolo indiscusso.
Un cursus honorum degno di un imperatore. Purtroppo qualcuno gli mise questa pulce nell’orecchio così che lui pensò: “dato che ci sono perché non provare a esserlo”.

Il resto dell’Europa non riuscì a essere così fortunata. Nemmeno gli Stati Uniti, nonostante avessero progettato  un “nuovo corso” da intraprendere dopo quel maledetto giovedì del 1929.
Difficile a credersi ma fu il nostro caro regno, vincitore morale della prima guerra mondiale, a rinascere sulla falsariga di quello che fece il nuovo stato germanico.
Anche noi abbiamo avuto la fortuna di avere una grande figura intraprendente ma allo stesso tempo con un ego un tantino ingombrante che lo rese, come si può dire: dittatore? Tiranno? Despota? Non so, scegliete voi il termine che più vi piace. Non me ne vogliano i nostalgici se non ho avuto il coraggio di inserire qualche termine positivo in questa lista di appellativi, ma si sa, la storia parla da sola e nonostante le più variegate interpretazioni che si possano dare, la realtà storica è una e non si corrompe davanti alle simpatie individuali.
Questo baldo giovane, ex giornalista e socialista, d’improvviso prese in mano le redini di un reame che crollava a pezzi. Basò la sua politica su un forte sentimento  nazionalista guerrafondaio e marciando sul consenso popolare, annientò ogni concorrente che gli potesse mettere il bastone fra le ruote nella sua folle corsa.

Ognuno porta con sé, nel suo bagaglio culturale, quello che vuole riguardo questo oscuro periodo storico, e ognuno lo fa in maniera diversa. Ci sono quelli obbiettivo, che saziano la loro curiosità in modo da formulare un ideale soggettivo con basi solide, poi ci sono quelli che estrapolano qualche notizia da una parte, poi da un’altra, e poi d’improvviso arrivano quei classici e nauseanti cliché, che vanno di moda sui social network, a dare manforte alla loro formazione scompigliata.
Questo vuol dire che colui che ha stretto l’Italia in una morsa insopportabile, d’improvviso per molti, diventa il martire di cui ora, in questi tempi confusi, abbiamo bisogno.

“Grazie a lui le riforme sulla scuola, le bonifiche, la lotta contro la malaria, le pensioni ecc…”
Tantissime frasi fatte ormai abbondano sulla bocca di tutti. Eppure dovremmo essere proprio noi sardi, grazie all’eredità che i pensatori d’altri tempi ci hanno lasciato, ad avere la consapevolezza di cosa sia stato il peso di quella dittatura.
Essa arrivò in Sardegna con la famosa “Legge del Miliardo” che si dimostrò da subito uno squallido specchietto per le allodole, utile solo per far sì che quella parte politica  potesse affondare le radici su questa sventurata isola. Riuscì senza troppi sforzi a portare sotto la sua ala quel partito creato da chi la notte vedeva ancora le bombe cadere sull’altopiano di Asiago, mentre dal continente ci intimavano di non cedere alle tentazioni, poiché lassù, a Roma, stava nascendo un grande caos.

Qualcuno si rifiutò di aggregarsi all’orda dei fasci dopo aver annusato il pericolo che si propagava nell’aria, ma allo stesso tempo non riuscì a evitare l’inevitabile e si vide così morire in prigione o esiliato in terre lontane.
Oggi parliamo ancora delle bonifiche nel Medio Campidano, e tutte le volte che succede vorrei tanto che Felice Porcella resuscitasse e ci raccontasse cosa furono veramente quelle “grandi” opere di risanamento. Inoltre avrei voluto che Salvatore Bassu e tanti altri come lui, avessero avuto molte più orecchie che ascoltassero le loro storie.

“All’improvviso a scuola, siamo diventati tutti fascisti. E chi sapeva cosa voleva dire? Eravamo solo ragazzini costretti a indossare le uniformi da giovani Balilla. L’abbiamo capito più tardi a nostre spese cosa significava essere fascista, essere tesserato al partito, quando la guerra ci portò via dalle nostre case per combattere per qualcosa che non aveva nessun significato per noi”.
Parlò così Salvatore disteso nel suo letto, mentre un male più grande dei tempi che aveva vissuto lo consumava dall’interno.  
Quando l’Italia e la Germania entrarono in sintonia, lui aveva appena 15 anni, e i suoi pensieri non erano certo rivolti agli interessi internazionali che trovavano terreno fertile oltre le sue verdi colline e i monti rocciosi.

Il suo piccolo villaggio seguiva il fluire inesorabile del tempo in un modo più pacato rispetto al resto del mondo. Il dio Crono sembrava si riposasse nascosto tra i boschi di quercia, mentre al contrario nelle città correva disperatamente, come se d’un tratto fosse stato lui a dover stare al passo con il continuo crescere e produrre di quegli esseri laboriosi.
A cavallo tra il 1935 e il 1936 per Salvatore Bassu, quel tempo rilassato cessò di esistere.
In un inverno freddo, tra mille affanni,  il mondo che aveva conosciuto fino a quel giorno si accartocciò su se stesso lasciandolo solo, disperso tra i mille impulsi confusi che un adolescenza repressa porta con sé.

Sentì il fuoco ardere nelle sue membra, una strana gioia risvegliare il suo animo assopito e poi infine, un’insolita tristezza cosmica metteva a tacere quel tripudio di euforia. In un primo momento non riuscì a rendersi conto di cosa potessero essere quelle nuove sensazioni, così che si sentì costretto a condannarsi davanti a Dio per la sua pazzia improvvisa.
Ma le preghiere di redenzione non servirono a placare la sua inadeguatezza per i panni che fu costretto a vestire già da bambino. Non era più sufficiente sentirsi necessario per il bene della famiglia, per prendere sonno la notte.
Salvatore Bassu stava crescendo e paradossalmente non se ne rendeva conto.

Lui che già era adulto, stava iniziando  a percorrere la strada naturale per poterlo diventare realmente. Mai nessuno gli aveva spiegato che non sarebbe bastato essere carichi di responsabilità in mezzo ai campi per poter essere uomo, nemmeno suo padre, e che alla fine il tempo, da solo, senza nessun aiuto avrebbe provveduto a renderlo colui che cercò di essere quando il suo viso era ancora quello di un bambino.
Capì di non avere scelta se non quella di seguire il corso della natura in quel freddo inverno, quando il suo mondo smise di essere lo stesso che aveva vissuto fino ad allora. Quando il tempo per lui iniziò a rallentare e a perdere importanza, ma soprattutto quando a causa di un assurdo gioco del destino, il suo cuore iniziò a palpitare in modo strano dopo un breve gioco di sguardi con quella che sarebbe stata la donna della sua vita.

Si conoscevano, avevano giocato insieme per le strade quando ancora erano liberi di farlo, ma mai prima di allora provò quell’insieme di sentimenti contrastanti che andavano a contorcergli lo stomaco e a infuocare la sua libidine.
La prima volta che la vide con occhi diversi, era seduta sopra il carro del padre fuori da casa sua mentre chiacchierava con le amiche, e dopo aver provato quel turbinio di emozioni, prima di dormire si pentì amaramente perdendosi in mille preghiere, chiedendo perdono per aver ceduto a tentazioni infernali.

Salvatore a quel tempo era uomo solo perché gli avevano detto che era necessario esserlo. Per quanto riguarda il resto, ovvero come diventarlo effettivamente, iniziava a capire che sarebbe stata  una straordinaria avventura.
Un avventura che prese il nome di quella ragazza bellissima ai suoi occhi.
Un nome che, gli piacesse o no, iniziò a ripetere fra sé e sé ogni notte prima di andare a dormire.
Era Vittoria la sua dolce ninna nanna, Vittoria Atzeni.

Quando Salvatore le parlò per la prima volta dopo anni…


INDICE DELLE PUBBLICAZIONI:

Rotta sbagliata sulla “Vittor Pisani” - 1

Rotta sbagliata sulla “Vittor Pisani” - 2

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