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Il paradiso degli innocenti - Parte settima

  • Scritto da Luigi Citroni

Il paradiso degli innocenti - Parte settima - Un thriller che vi lascerà con il fiato sopeso.


Il paradiso degli innocenti - Parte prima

Il paradiso degli innocenti - Parte seconda

Il paradiso degli innocenti - Parte terza

Il paradiso degli innocenti - Parte quarta

Il paradiso degli innocenti - Parte quinta

Il paradiso degli innocenti - Parte sesta

Il paradiso degli innocenti - Parte settima

Il paradiso degli innocenti - Parte ottava

Il paradiso degli innocenti - Parte nona


Il fuoco illuminò la foresta circostante e diede risalto a un nugolo di ragazzini, poco più che fanciulli che si facevano strada tra gli alberi discendendo il crinale.

Come se anestetizzati e resi insensibili al mondo esterno, essi sembravano capi di bestiame durante una transumanza che solcavano il terreno con la stessa insensibilità e indifferenza di un bovino, fino ad arrivare alla strada, dove poco più in fondo la nostra macchina aspettava con ansia di rimettersi in moto.

Quei ragazzi erano visibilmente sporchi, mal nutriti, bendati e legati. Era chiaro si trattasse di prigionieri, ma la cosa che mi tormenta ancora oggi è che nessuno di noi sapeva niente sulla loro ipotetica scomparsa, e tanto meno di un luogo tra le montagne dove adolescenti venivano fatti prigionieri e nel peggiore dei casi persino uccisi.

Davanti a quello spettacolo ammetto di essere rimasto immobile, come paralizzato da un senso di inquietudine difficile da spiegare. Non credevo a ciò che vedevo e dentro di me allo stesso tempo pensavo a quanto i miei superiori avessero avuto un’innata tendenza a snobbare i fatti che sconvolsero la provincia.

Sapevo in ogni caso non fosse il momento di perdersi in pensieri carichi di rammarico, così come sapevo che avrei dovuto continuare il mio percorso verso la cima.

Cambiai allora il caricatore al fucile e ripresi a camminare, passo dopo passo con la consapevolezza sempre maggiore di aver messo un piede oltre i cancelli dell’inferno.

Aspettavo la voce che da un momento all’altro si facesse largo fra il buio, ma prima che ciò potesse succedere, dalla cima di un dosso della luce sembrava riuscisse a scavalcare l’impenetrabile manto della notte.

“Ci sono quasi” pensai, così accelerai e allentando la presa sul mio fucile riuscii a muovermi con maggiore liberta, schivando abilmente ogni tipo di ostacolo.

In pochi secondi arrivai in cima a quel piccolo promontorio.

Saverio Bompiano nel corso del tempo permise che il mondo si prendesse tutto ciò che possedeva.

Senza opporsi lasciò che la sua vita rotolasse via lungo un crinale e che pian piano si sgretolasse sempre più fino a ridursi a semplice pulviscolo. Già da quando come giovane garzone venne preso in prestito dalle strade da una famiglia di contadini tutt’altro che amorevole.

Un ragazzo figlio di una notte senza nome, nato per sbaglio da chi confuse l’amore e la sacralità della vita, con impulsi animaleschi di due corpi sudati e ancora sporchi di terra.

Del suo passato egli conservava il ricordo del suo crescere con le mani affondate nella terra, e delle piccole e innocenti.

Non era un uomo dalle spiccate doti intellettive, ma poteva lavorare senza obbiettare per ore e ore.

Per il resto dei suoi giorni Saverio venne guardato dal mondo come si osserva una bestia da soma durante una fiera, e chiunque fosse interessato all’articolo lo valutava solo ed esclusivamente per la sua innata e incauta propensione al servilismo, e per il suo obbedire senza riserve ad ogni richiesta.

Saverio Bompiano lo rividi quella notte, oltre quel dosso.

Insanguinato, denudato e crocifisso sopra le spoglie di giovani incatenati ai suoi piedi, senza più occhi, con il sangue che ancora grondava da ogni ferita inferta.

Sotto di loro dei fari illuminavano a giorno i loro corpi.

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