IN Breve

Il postino di Piracherfa di Salvatore Niffoi

  • Scritto da Effe_E

Tra spedizioni da località dai nomi esotici, pratiche superstiziose, visioni magiche e vere e proprie metamorfosi, Niffoi immerge il lettore in una storia continuamente scossa da pulsioni primordiali.

Incipit

Il latrare dei cani si spalmava sui vetri delle case di Piracherfa come una maschera latteosa e urticante. Il vento, che spazzava per le strade le ultime foglie ingiallite perse dai pergolati, trasportava lamenti di anime morte sino alla stanza da letto di Melampu Camundu. Bel regalo per il giorno del suo cinquantesimo compleanno. Bel regalo quelle voci che tornavano a galla da un passato antico e peloso, per ricordargli che certe visioni notturne si perdono nella notte dei tempi, quando ancora non esistevano le croci, e il fuoco lo regalavano solo le nuvole imbizzarrite come cavalli selvaggi.
La sveglia fosforescente, che ticchettava sul comodino sverniciato, segnava le cinque meno un quarto. Quando allungò la mano sulla spalliera per trovare l’interruttore, un enorme rosario a chicchi grossi appeso sulla parete stinta si sgranò sul pavimento impiastrellato a rombi grigi e vinacciosi. Stiracchiandosi le ossa, chiuse i pugni e allungò le mani verso l’alto per inghiottire la prima bestemmia della giornata.
Posò i piedi su una pelle di caprone malconciata e orlata da un bordicino turchese. Si liberò delle doppie calze da notte, e con l’indice asportò dalle dita i grumetti maleodoranti che ogni giorno vi si depositavano. Ogni tanto si avvicinava il dito al naso e inspirava avidamente quel profumo che gli sembrava avesse l’acido amarognolo del pesco in fiore. Infilò la mano in un bicchiere d’acqua torbida posato sul comò, per prelevare una protesi luminosa e tagliente come una falce. Si osservò allo specchio, infilando la lingua in un portale che andava da canino a canino. Continuava a perdere denti e capelli. La vecchiaia lo rincorreva e lo raggiungeva nei giorni in cui si alzava intristito dalla pesantezza di un bilancio esistenziale che tirava la stajera sempre dalla parte della sofferenza. Fece una smorfia propiziatoria e s’infilò in bocca quella specie di carrettino in miniatura.
Prima di andare in cucina, a scaldarsi il caffè che conservava già dolcificato in una bottiglia a chiusura automatica, ripose nel cassetto del comodino un edizione economica del Vangelo, gli ultimi due numeri delle ristampe di Tex Willer e alcune copie spiegazzate delle riviste pornografiche che ogni tanto sottraeva ai destinatari. Aprì la finestra della cucina che dava sul cortile. La brina aveva steso il suo manto cri- stallino sull’erba rachitica, e il guaire dei cani adesso riempiva la casa di dolore, di paura, di solitudine. Scuotendo le spalle per il freddo, richiuse in fretta la finestra, accompagnando con due mani la maniglia che faceva resistenza.
Era sempre così d’inverno. Le aperture si gonfiavano e gli spifferi, come fantasmi, si infilavano tra il legno e il cemento, vanificando ogni tentativo di scaldare tutte quelle stanze solo con l’enorme caminetto della cucina. Fortuna che la legna gliela portavano ancora, gli affittuari di S’Armiddosa, la tanca che aveva ereditato dalla madre, signora Rumina Garibba, vedova Camundu. Non solo legna gli portavano, ma anche olio, carne e formaggio, che quella era una delle tanche più belle di Piracherfa e, a pagarla in sonanti, si valeva ancora una Spagna, come diceva sempre la responsabile dell’ufficio postale, signorina Rodìa Sagrittu.


IN NEGOZIO


 

La vita di Melampu – unico portalettere del villaggio di Piracherfa – scorre lenta e sempre uguale, segnata da un quotidiano che si consuma tra casa, ufficio postale e strade del paese. Giornate tormentate dai ricordi di un tragico passato familiare, rese torbide dalle avance del capoufficio, la demoniaca Rodìa Sagrittu. Giornate con pochi oggetti salvifici: l’alcol traditore, l’amore incompleto con la prostituta Galdina, il vagheggiamento della scrittura, vecchia inclinazione liceale coltivata con passione e poi dimenticata.

Fino al giorno del cinquantesimo compleanno, quando con la penna Melampu decide di riscattare la propria esistenza, rubando quella altrui in un gioco delle identità inventate che lo porterà ad una commossa “resurrezione” dell’amico giramondo Mìtrio Zigattu, morto in disgrazia.

Melampu veste i panni dell’amico e inizia a rispondere alle lettere che continuano ad arrivare all’indirizzo di Mìtrio.

Tra spedizioni da località dai nomi esotici, pratiche superstiziose, visioni magiche e vere e proprie metamorfosi, Niffoi immerge il lettore in una storia continuamente scossa da pulsioni primordiali, con una scrittura altrettanto pulsante, ora piena di lirismo, ora crudamente realistica e sempre sprezzantemente anti-idillica.