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Rotta sbagliata sulla “Vittor Pisani” - 11

  • Scritto da Eliogabalo

L'undicesimo episodio di un racconto inedito di Eliogabalo pubblicato a puntate su IteNovas.com

 …capii che, per quanto potessi pensare di avere conoscenze adeguate per portare avanti una discussione di questo genere, non ero in grado di comprendere le varie sfaccettature che molti scrittori di libri di storia non provavano, e non provano tutt’ora, vergogna a omettere.
Ormai non è più un segreto che, i nemici dei nostri nemici, erano a loro volta nostri nemici, nonostante i testi scolastici continuino a far passare questi nostri nemici, nemici dei nostri nemici, come nostri amici.

A quanto pare, mi sbagliavo quando pensavo ingenuamente che la storia fosse un qualcosa di incorruttibile, la quale non sarebbe mai stata soggetta a mutamenti di sorta, per mano di coloro che vogliono comprare e compromettere il futuro di chi come noi, giovani di oggi, ha la necessità di volgere lo sguardo indietro, per capire chi siamo e da dove veniamo.
Quindi, questo mi fa dedurre che, se ora non possiamo essere custodi del tempo effettivi ed efficaci, non è del tutto colpa nostra.
Dopo la discussione con Salvatore, ho approfondito le mie conoscenze parziali, ed è stato sbalorditivo arrivare a capire quanto possa essere semplice, camuffare fatti ed eventi, in modo che possano prendere una piega unidirezionale, in base alla mano della persona che li riporta in testi scritti.

Mi vengono in mente alcuni episodi di cui nessuno mi aveva mai parlato, come i genocidi in Grecia e in Africa da parte degli italiani. Non sono riuscito a rimanere indifferente quando lessi di villaggi interi bruciati per mano del Regio Esercito, mentre uomini donne e bambini morivano asfissiati e carbonizzati, imprigionati nelle loro case.
Oppure mi viene da pensare ai campi di concentramento americani, fatti ad arte per i giapponesi dopo l’attentato di Pearl Harbor. In quei campi, i salvatori dell’umanità, non avevano rinchiuso soldati, ma civili giapponesi, alcuni più americani che nipponici, i quali, hanno sentito gli stivali dei soldati e dei servizi segreti, salire le scale e sfondare la porta di casa loro, poco prima di essere prelevati e deportati. Niente di diverso da quello che è potuto succedere in Europa per mano dei tedeschi.
Non voglio elencare ogni piccola, anche se piccola non è, magagna di chi, per la collettività, sono stati i buoni, poiché non avrei tempo e spazio per elencarle tutte, e perché di molte non ne sono al corrente, ma mi sentirei ipocrita se non dovessi rimarcare il mio disgusto nei confronti del boia, che ha calato la mannaia, con presunzione, sulla testa di chi sarebbe dovuto essere il male da eliminare. Molte persone con cui ho parlato di questi aspetti mi hanno detto: “ Beh la guerra è guerra, cosa ti aspetti? Qua puoi trovare il classico esempio di ammazzare per non farti ammazzare!”. Quest’affermazione presa in senso lato non fa una piega, ma il punto a cui sono arrivato, grazie anche a ciò che sono riuscito a capire parlando con Salvatore, è che siamo stati presi in giro. Ci hanno fatto passare la strage di Hiroshima e Nagasaki (per esempio) e tante altre, come un qualcosa di necessario, e noi, l’abbiamo sempre giustificata ogni qual volta bisognava tirare le somme di quello che avevamo studiato in maniera superficiale. Perché loro, in fondo, erano quelli che stavano dalla parte giusta.
Le stragi naziste, allo stesso tempo, non si dimenticano. Quelle hanno solcato profondamente il nostro cuore. Ci hanno fatto capire quanto male, un uomo, può fare a un altro uomo ( il mio velato sarcasmo non vuole di certo sminuire questa tragedia) anche se qualcuno si dispensa dal precisare che l’antisemitismo, per esempio, era un sentimento che accomunava un po’ tutte le forze in ballo in questo delirio tra onnipotenze arroganti.

E per quanto riguarda i milioni di morti sotto il regime russo, italiano, francese, inglese, spagnolo, turco, americano e di tanti altri? Beh per quelle, cosa ci vogliamo fare? Magari possiamo arrangiarci in qualche modo, che ne so, parlando dei gulag o di Marzabotto, o di tante altre vicende con nomi a effetto, così da provare a nascondere il nostro pressapochismo. Oppure, ancora meglio, potremmo citare qualche piccolo aneddoto, estrapolato da una rivista irriverente di matrice pseudo comunistoide, su uno dei tanti social network, per far vedere al mondo intero che la nostra emotività, non è stata compromessa dal blaterare univoco dei nostri burattinai. Quale metodo migliore per compiacere e compiacersi se non con una nauseante vanità esposta in una piattaforma globale?

Il punto del mio discorso, che va al di là del semplice fatto storico legato alla Seconda Guerra Mondiale e alla vita di Salvatore Bassu, è che ci hanno insegnato a odiare e a valutare il male in maniera monodirezionale. Ci hanno dato un concetto di bene che, per la maggiore, si legava a un razzismo latente  inculcato quando abbiamo iniziato a frequentare le scuole. La lotta contro la xenofobia non è mai giunta al termine, poiché non è mai stata iniziata. Al contrario, questo tipo di insofferenza è soggetta a un instancabile perpetuarsi di generazione in generazione. È inutile negarlo, poiché a quanto pare, questo carattere, pian piano si sta insinuando, in maniera sempre più radicale nel nostro corredo genetico. Nasciamo già predisposti all’odio e all’intolleranza e maturiamo questa nostra “peculiarità” con la crescita. Qualcuno più di altri ma nessuno escluso. Per questo motivo pendiamo dalle parole di telegiornali e quotidiani monopolizzati, che dicono ciò di cui abbiamo bisogno per sentirci protetti. I quali innalzano la nostra cara, amata “civiltà” occidentale, così minacciata dal barbaro dai costumi perniciosi. Perché? Perché noi questo barbaro lo odiamo. Perché per noi, questo barbaro che minaccia la nostra tranquillità è una bestia, un cane sciolto, e come tale conosce solo il male e non può far altro che procurarlo, a chi? Beh a noi, alla parte del mondo che considera la vita come il bene più caro. Perché a noi piace sentirci vivi. Perché alla maggior parte non manca qualcosa da mangiare. A noi che conduciamo una vita morigerata, e ci sentiamo persone civili che vivono secondo precisi principi etici e morali da fare invidia. “ Eppure, che cosa è per me questa quintessenza di polvere?” come disse Shakespeare.

In tutto questo ci risulta difficile renderci conto che, i nemici dei quali bisogna diffidare, siamo noi stessi.
Starete pensando: ma cosa diavolo ha a che fare questo discorso con la Seconda Guerra Mondiale e soprattutto con Salvatore Bassu?
Ebbene io rispondo che è tutto collegato in maniera indissolubile, poiché la storia, quella vera, è maestra, e ci dovrebbe sensibilizzare per renderci semplicemente degli uomini migliori. E mi voglio sbilanciare dicendo che quel periodo funesto ha gettato solide basi socio-politiche per il nostro futuro.

Cosa c’entra Salvatore Bassu? Lui a suo modo la pensava come me, e ora che stiamo arrivando alla fine della sua storia, come avevo promesso, inizio a dirvi cosa ho potuto imparare da quella famose parole giuste di cui non riuscivo a cogliere il significato.
Allo stesso tempo non penso che tutti debbano essere storici formati dallo studio minuzioso di dettagli dimenticati, ma dico che dovremmo almeno avere un pensiero consapevole. Dovremmo conoscere più cose, così da poterci sentire, in qualche modo, liberi dal giogo che assoggetta le nostre menti.

Con questa disquisizione non voglio impartire lezioni a nessuno, poiché come tutti sono figlio di questa società, e dunque l’incivile tra gli incivili, ma comunque voglio trovare la mia redenzione ragionando su ciò che siamo, e su quanto la nostra ignoranza ci possa rendere poco consci di quanto siamo strettamente legati a quello che un tempo tanti altri furono, e che viviamo in un mondo che è il frutto di una babilonica confusione di significati più o meno incisivi, ai nostri occhi.

Una cosa che ho imparato di recente, della quale ho avuto sempre qualche sospetto, è che la storia ci insegna quanto la violenza, che tanto agogna il nostro vivere, non è innata, come niente in questo “ sterile promontorio” (piccolo inciso per tenere Shakespeare attivo in questo dialogo). Da violenza deriva altra violenza. È un meccanismo che funziona da secoli, fatta qualche eccezione, anche se non sono tanto convinto che ce ne siano, poiché in qualche modo, si riesce sempre a risalire a un offesa inflitta che scaturisce una risposta ugualmente o maggiormente spropositata. Su questo concetto ci tocca riflettere con attenzione e porci una domanda: Abbiamo noi, nel nostro tempo attuale, la coscienza abbastanza pulita per poter escludere a priori che non siamo noi la causa dei nostri mali e di quelli degli altri? Io penso di no, e per questo mi lascio andare a una riflessione poco ortodossa, ovvero che i proiettili, i quali hanno gettato il nostro mondo civilizzato nel lutto, con tutta probabilità, sono il frutto delle nostre fabbriche dispensatrici di morte, e che le bombe che fanno tremare in maniera poco rassicurante la nostra sensibilità, spesso hanno il nostro marchio di fabbrica.

Antonio Tabucchi nel suo “Tristano muore” ci aiuta a prendere coscienza di queste problematiche sia per quanto riguarda il passato e in qualche modo anche per quanto riguarda il nostro presente.
Un po’ come Salvatore Bassu, con il quale non ho avuto il tempo di dilungarmi con questi discorsi, anche se mi diede il giusto input per poterci riflettere.
A quel tempo lui aveva altro da raccontarmi, come per esempio del…


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