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Gigi Riva, il ricordo, lo striscione e la retorica

  • Scritto da Effe_Pi

Si è parlato e raccontato tanto sul lutto per il mito Rombo di Tuono, ma come è stato raccontato e da chi? com'è la morte di un'icona al tempo dei social.

Ci sarebbe il divieto di esporre uno striscione, all’origine dell’abbandono del settore ospiti da parte dei tifosi della Torres, durante il minuto di silenzio per Gigi Riva celebrato ieri pomeriggio quando i sassaresi hanno giocato a Carrara. Sullo striscione sarebbe stato scritto “rispetto per l’uomo, ma non per la squadra”, esprimendo una tradizionale rivalità tra i tifosi del nord Sardegna e quelli cagliaritani. La scelta di abbandonare gli spalti ha però scatenato una serie di reazioni, ed è stata considerata oltraggiosa verso l’icona Riva: in molti ora chiedono che la Torres prenda posizione, dopo che nei giorni scorsi aveva celebrato sui social l’ex bomber della nazionale, definendolo “un esempio che con i suoi valori espressi dentro e fuori dal campo ha ispirato intere generazioni".

Al netto del singolo episodio, questo è un classico esempio di come funziona il lutto (giornalistico e non) al tempo dei social. Dopo aver letto centinaia di ricordi, tutti uguali, di GigiRriva Rombo di tuono, hombre vertical, che aveva rifiutato la Juve nonostante l’offerta di uno stipendio triplo di quello che prendeva a Cagliari, assediato da Allodi e altri dirigenti ad ogni partita perché chiamasse Boniperti, che difendeva pastori e presunti sequestratori, che era amico di De André che gli aveva regalato la chitarra e lui la maglia numero undici, che sfrecciava sulla spider sulle strade deserte della Sardegna pieno di malinconia e andava a mangiare formaggio negli ovili, o si vedeva a passeggio per la città o nei ristoranti, che poi non si capisce dove si sarebbe dovuto vedere visto che abitava lì.

Una retorica in parte comprensibile, per un personaggio di grande valore sportivo e umano, che è riuscito nell’impresa di portare (insieme ad altri) lo scudetto in Sardegna e che ha sempre dimostrato di credere in alcuni valori di civilità minima quasi desueti, ma che moltiplicata per mille, diecimila, centomila dall’effetto social e media socializzati alla lunga è diventata davvero stucchevole. Ricordi e celebrazioni tutti uguali, a volte scritti in modo incerto – ma sarebbe il minimo – e spesso improbabili anche cronologicamente. Gigi Riva ha infatti raggiunto l’apice della sua carriera tra il 1968 e il 1970, proseguendo su alti livelli, nonostante alcuni gravissimi infortuni, anche negli anni successivi. È quindi evidente che chi ha meno di 60 anni non può averlo visto giocare allo Stadio Amsicora, non può ricordare la festa scudetto rossoblù né i gol di Riva ai mondiali del ’70 o agli Europei vinti due anni prima.

Chi ha meno di 60 anni può avere i ricordi e la percezione di Riva che ne ho io, sardo e tifoso: quello che può ricordare sono i racconti dei genitori, gli zii, gli amici di famiglia di quando era piccolo, magari degli anni ’80 come i miei, con un Riva ancora abbastanza vicino nella memoria. Ricordi di un’Italia che aveva scoperto l’esistenza della Sardegna come terra civilizzata, al di là delle spiagge della Costa Smeralda e dei sequestri di persona, ricordi di una parte consistente dell’isola che in massa per tante domeniche si riversava al centro di Cagliari verso lo stadio Amsicora, dove spesso chi non trovava i biglietti si appollaiava sugli alberi intorno all’impianto per vedere qualcosa, oppure la canzone “lo scudetto in Sardegna” che all’epoca tutti ancora cantavano, con Riva il cannoniere che quando tira il rigore “fa tremare il portiere”. Poi, ovviamente, tra videocassette e trasmissioni Rai d’epoca, per non parlare di internet quando è arrivato, abbiamo rivisto tutti – anche in questi giorni – le prodezze di Riva, ma per raccontarle è sempre meglio affidarsi a chi c’era e sapeva scrivere.