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Fantasmi: L’ultimo dei Padrini

  • Scritto da Effe_Pi

La cattura di Matteo Messina Denaro apre la strada a una serie di riflessioni e una ricostruzione della carriera criminale del boss mafioso.

La prima parte della storia di Messina Denaro a cura di Serpico

Come ogni cattura di un boss latitante che si rispetti, quella dei giorni scorsi da adito a scenari più inquietanti e incredibili! Matteo Messina Denaro, arrestato dopo troppi anni di latitanza, è uno dei personaggi di Cosa Nostra più enigmatici e misteriosi degli ultimi trent’anni.

Superfluo affermare l’elevato livello di protezione e di complicità alla base della sua decennale latitanza Non è dato sapersi se sia stato tradito oppure sia stato sacrificato nel piatto della bilancia dell’ennesima trattativa, segreta e necessaria per garantire futuri equilibri di potere. “U Siccu” gode nel suo territorio, il trapanese, dell’appoggio di centinaia di persone, molto spesso incensurate, a volte laureate, che da anni si sono messe a disposizione per garantire l’impunità all’ex giovane rampollo figlio di Don Ciccio.

Sprezzante, freddo, spocchioso e arrogante come ogni figlio d’arte predestinato alla carriera criminale, Matteo Messina Denaro è già da giovanissimo inserito a pieno titolo nella consorteria mafiosa della famiglia di Castelvetrano. Il padre, che morì latitante, godeva della fiducia e amicizia incondizionata di Riina e Provenzano, nuovi e spietati padroni dell’organizzazione, dopo aver sterminato le famiglie che si opponevano al loro potere. A dispetto di anni di oblio e disinteresse la mafia trapanese, definita “di provincia”, forse per sminuirne l’importanza allo scopo di renderla ancora più invisibile, è un’organizzazione feroce, potente e ramificata. Un potere mafioso che in quel territorio strategico è ben inserito nello scacchiere che vede posizionati pezzi delle istituzioni, servizi segreti deviati, affaristi, logge coperte, gladiatori e massoni.

Cosche mafiosi che dal latifondo (Don Ciccio padre di Matteo è campiere della famiglia D’Ali) presto si adeguano alla vita urbana, di città, sfruttandone ogni occasione di affare e di arricchimento. Matteo Messina Denaro a quattordici anni ha già dimestichezza con le armi. A diciotto ha il battesimo di fuoco e uccide per la prima volta. Con un pizzico di esagerazione confesserà negli anni a venire ad un amico che “potrebbero costruire un cimitero con tutte le persone che ha mandato al creatore”. Le stime più prudenti parlano di almeno quaranta omicidi.

Nella vicina Partanna, a seguito di una faida tra famiglie filo-corleonesi e non, rimangono a terra diversi cadaveri. Matteo impara in fretta il mestiere di killer ed entra nelle grazie di Totò Riina. La belva corleonese stima e ammira il giovane che presto diventerà un suo pupillo intoccabile e di assoluta fiducia! Si atteggia da boss e non disdegna ostentare il lusso! Donne, auto costose, orologio Daytona, vestiti eleganti e vacanze in prestigiose località turistiche, hotel stellati. È un “viveur” e, a differenza dei vari Riina e Provenzano, ama la bella vita e frequenta la Palermo dei locali e delle feste, dove non mancano le belle donne.

Alla morte del padre, giovanissimo prende le redini della famiglia di Castelvetrano, stringe alleanze importanti con i Graviano di Brancaccio e avvia affari nei più svariati settori. Supermercati, energie rinnovabili, villaggi turistici, parchi eolici, agricoltura, costruzioni con particolare occhio di riguardo per la pioggia di contribuiti e finanziamenti europei. Enormi giri di affari e montagne di soldi lavati in attività apparentemente pulite. Capitali reinvestiti nel traffico di droga, grazie a importanti collegamenti con i cartelli sudamericani, anche se i clan siciliani faticano dopo esser stati soppiantati dalla ‘ndrangheta. Rappresenta l’ala dura di Cosa Nostra, condividendone la strategia terroristica corleonese del tremendo biennio 92-93, compresi gli attentati falliti contro il giornalista Maurizio Costanzo e allo stadio Olimpico di Roma, ai danni delle forze dell’ordine.

Partecipa all’attentato ai danni del commissario di Polizia Rino Germanà a Mazzara del Vallo. È responsabile della decisione di rapire ed uccidere il piccolo Di Matteo allo scopo di punire il padre collaboratore di giustizia! Dopo le stragi di Roma, Milano e Firenze del 1993 scompare definitivamente! Come ogni boss che si rispetti e come Provenzano e Riina, non si è mai allontanato dalla Sicilia se non per brevi periodi, e ha sempre seguito e diretto gli affari attraverso una fitta rete di familiari, prestanome e amici, pronti a sacrificare tutto in nome della fedeltà dovuta dal boss. Spietato ma anche generoso e riconoscente. Nonostante le protezioni di altissimo livello che probabilmente resteranno segrete, il nocciolo duro è rappresentato da personaggi di indiscussa fedeltà, provenienti dal proprio territorio di origine.

E gravemente malato ed è probabile che la sua vita terrena intrisa di sangue sia giunta alla fine. Non è dato sapersi se al suo arresto fosse ancora il capo indiscusso dell’Organizzazione. Difficile pensare che Cosa Nostra sia priva di una struttura verticistica a trazione palermitana. Senza dubbio il personaggio è quello che mediaticamente ha riscosso visibilità mediatica, ma nonostante l’importanza della mafia c.d. di provincia trapanese, non è pacifico pensare che da lì si possa esercitare il controllo di tutta l’organizzazione.

Foto | Global Panorama su Flickr