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Deposito nucleare, quasi sicuramente non sarà in Sardegna

  • Scritto da Effe_Pi

Isola zona “celeste”, la meno adatta insieme alla Sicilia, rischiano molto di più Piemonte, Toscana, Lazio, Basilicata e Puglia, la Cnapi nasce dal governo Berlusconi del 2010, di cui faceva parte Giorgia Meloni.

La Sardegna è tra le possibili destinazioni del deposito permanente di scorie nucleari che la Sogin ha in programma di costruire entro il 2025, ma come abbiamo scritto anche in passato non sembra essere la zona con i migliori requisiti, secondo quanto stabilito negli anni scorsi da Ispra e Ministero dell’Ambiente. Se è vero che l’isola ha ben 14 siti potenzialmente interessati, è altrettanto vero che nella carta Cnapi la loro classificazione, come anche quella delle 4 aree siciliane, ha un punteggio che le identifica come celesti (vedi foto), le meno adatte in assoluto, in primo luogo a causa della necessità del trasporto marittimo dei rifiuti, considerato particolarmente rischioso.

Hanno invece il colore verde, quello dei siti che vengono considerati più favorevoli, 23 siti: 8 in Piemonte, tra le province di Torino e Alessandria, due in Toscana, tra Siena e Grosseto, 7 nel Lazio, tutte in provincia di Viterbo (nei comuni di Montalto di Castro, Canino, Tuscania, Tarquinia, Vignanello, Corchiano) e 6 in Basilicata e Puglia, incluse nel territorio che si trova tra Matera e Bari.

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Fortissime le polemiche politiche nell’isola e fuori, con accuse al governo da parte di leader nazionali del centrodestra, come il leghista Matteo Salvini, e da esponenti regionali come il presidente di regione Solinas e l’ex Ugo Cappellacci, di Forza Italia, tra gli altri. Ma la Cnapi non è un prodotto dell’attuale governo, che si è limitato a pubblicarla, visto che la procedura era stata stabilita nel 2010, sotto il governo Berlusconi IV, di cui facevano parte ministri come Giorgia Meloni, Umberto Bossi, Ignazio La Russa e Roberto Maroni, con decreto legislativo del 15 febbraio di quell’anno, e dopo 5 anni di lavori era stata completata nel 2015 sotto l’esecutivo di Matteo Renzi, con dentro esponenti come Maria Elena Boschi, Angelino Alfano, Carlo Calenda e Teresa Bellanova. Poi il documento è stato chiuso in cassetto per 5 anni, fino alla pubblicazione di ieri, seguita anche all’apertura di una procedura d’infrazione europea sull’argomento, arrivata due mesi fa.