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La libertà delle balene: suicidio e Blue whale

  • Scritto da Luigi Citroni

Il suicidio è l'atto più personale che un individuo possa compiere, e si può considerare come gesto che racchiude in sé una piccola reale essenza di libertà.

Il suicidio è l’atto  più personale che un individuo possa compiere, e si può considerare come gesto che racchiude in sé una piccola reale essenza di libertà. Può sembrare un’affermazione esagerata o persino spropositata. Tuttavia non lo è affatto, poiché nell'istante in cui viene presa la decisione di porre fine alla propria vita, per la prima volta ci si avvale del diritto di non seguire il flusso regolare degli avvenimenti.

Di non cedere all’ineluttabilità del destino.

Come se per un istante ci si potesse sentire capitani di una nave persa in mari tempestosi, nel momento in cui, con il timone stretto tra le mani, si decide di virare in maniera risoluta.

Per la prima volta dopo anni di tempesta.

In un attimo ci si può sentire nuovamente custodi di un corpo e di un’anima.

Fin quando si raggiungono acque più cupe. Dove il vento si inasprisce. Dove le urla disperate si strozzano in un silenzio perso nella tormenta. Dove la corrente trascina una barca ormai distrutta nella gola di un maelstrom, e poi giù. Negli abissi.

Questo banale concetto potrebbe dare un’idea di quale sia la natura della libertà colta da chi decide di suicidarsi. Una libertà che consiste nella possibilità di scegliere di svanire come una fioca luce nel cielo del tramonto, dopo aver vissuto un giorno privo di ogni tipo di appagamento.

In concreto: la libertà di scegliere di farla finita. Per sempre.

Bastano queste poche parole per far gelare il sangue a noi che ancora siamo in vita, e che volente o nolente siamo stati testimoni di una fine volontaria. E basta pensare al fatto che il suicidio è tra le prime cause di morte, nella fattispecie giovanile, per perderci a nostra volta in un mal di vivere sempre più prorompente.

La nostra anima allora smette di essere immacolata, e con la coscienza messa a dura prova, ci mettiamo alla ricerca di motivi in grado di spiegare il perché diventi necessario smettere di vivere. Soprattutto per un giovane.

Ma qualcosa in noi, nonostante la nostra apprensione, non funziona come dovrebbe, e sapete perché? Perché anche se profondamente addolorati rimaniamo fermi.

Paralizzati dalla paura di quello che si potrebbe scoprire se solo si guardasse con attenzione oltre il proprio naso. Se solo si abbandonasse la propria zona di comfort.

Tale paralisi quindi, testimone di un terrore incondizionato per una tetra sfaccettatura della morte, potrebbe essere ovvio considerarla parte integrante del nostro essere. Come un salvagente che ci tiene a galla in modo da non sprofondare nelle torbide vortiginose acque della disperazione umana. Un complicato automatismo insito in noi affinché possa essere sempre più difficile abbandonarsi al nichilismo. 

Ma non sempre, perché le nostre esperienze quotidiane ci insegnano che lo stare immobili e terrorizzati non sia solo un meccanismo di autodifesa dell’anima, ma un totale e patologico disinteresse per quello che ci circonda. E che il terrore e la costernazione spesso sono solo convenzioni sociali dalle quali si cerca di non prescindere per non apparire mostri insensibili.

Se vogliamo concederci qualche riflessione in merito al suicidio dobbiamo prima capire quindi se la nostra paura sia vero terrore o indifferenza, anche se, detto con franchezza, poco importa di che natura sia la nostra incompetenza a livello sociale, poiché in qualsiasi caso rimaniamo pur sempre incastrati in una condizione di staticità.

Per molti questi concetti potranno sembrare nauseanti cliché impastati e appiccicati l’uno all’altro. Ma è necessario che facciate attenzione, e che non ragioniate su queste informazioni con troppa supponenza, poiché il concedersi la libertà di morire, la libertà delle balene, non è più solo una fantasia o un isolato caso di cronaca nera, ma fatto concreto. Soprattutto tra i giovani.

Sia che siate indifferenti o meno iniziate a considerare il suicidio giovanile come vivida realtà quotidiana.

Allarme rosso quindi. Le nuove generazioni muoiono spiaggiate come balene blu. 

È necessario dire che il suicidio adolescenziale viene annoverato tra le prime dieci cause di morte, nei paesi occidentali e in quelli in via di sviluppo. Il Suicide Prevention Project dell’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che, entro il 2020, il numero di suicidi annui nel mondo salirà a un milione e mezzo. Il che corrisponde a circa un suicidio ogni venti secondi. In Europa il tasso dei suicidi varia da 8 a 50 per 100.000 abitanti, mentre in Italia tra i giovani sotto i venticinque anni, il suicidio è la seconda causa di morte dopo gli incidenti stradali.

Spesso l’adolescente incolpa il mondo esterno per il suo disagio, imputando a esso la propria confusione interiore. A livello pedagogico si può affermare che in certi casi egli per difendersi dalle difficoltà nate in questa fase di rifiuto, fa riferimento a strumenti emotivi ricevuti nei primi anni di vita, ovvero solidità affettiva, acquisizione di sempre maggiori autonomie decisionali, sostanziale fiducia in se stesso, che gli permettono in questo modo di affrontare e talvolta sconfiggere ogni tipo di disagio. Mentre al contrario in giovani a cui non sono stati trasmessi fattori protettivi come quelli sopracitati, questa confusione interiore può causare un senso complessivo di inadeguatezza, che rischia di condurre a comportamenti di iper-compensazione, quali ostentazioni di coraggio fisico in circostanze pericolose, oppure, un altrettanto eccessivo ritrarsi in se stessi. Ed è soprattutto allora che il pericolo di comportamenti autolesivi deve essere preso in seria considerazione, valutando inoltre che la compresenza di più fattori di rischio del tipo socio-culturali, familiari e individuali, rendono i soggetti ovviamente più vulnerabili.

Noi occidentali abbiamo costruito un mondo dove per crescere occorre indurirsi emotivamente. Facciamo finta di ignorare che la rigidità psicologica sia la premessa all’infelicità e ci siamo costretti a scordare che l’emotività, così come la cultura dei sentimenti, sono le uniche speranze per sottrarsi alla noia. Gli unici anticorpi efficaci alla ripetitività della nostra vita. In una società di questo tipo, il confine tra concetto di vita e di morte si è notevolmente assottigliato. Non perché il primo abbia ceduto il posto al secondo, quanto piuttosto perché entrambi hanno perso il loro significato sacrale. L’esistenza non è più considerata un bene, ma un qualcosa di effimero, di improbabile, esposta costantemente a un'inevitabile esperienza di dolore, e il suicidio ne è il risultato.

La condotta suicidaria è diventata l’emblema del cambiamento sociale. L’esplosione di un’anomalia comportamentale che cela una vulnerabilità inquietante.

Gli adolescenti si trovano in una situazione paradossale, poiché da un lato possiedono una notevole capacità di introspezione e una certa consapevolezza delle imperfezioni di questo mondo, ma dall’altro sono poco robusti emotivamente per affrontare queste numerose sollecitazioni dettate da un’evoluzione complicata. Si sentono spesso inadeguati e incapaci di introdurre cambiamenti in sé stessi, nel proprio carattere, nella propria vita e influenzare positivamente il mondo che li circonda. Colui che decide di suicidarsi, non teme la morte ma la possibilità di continuare a vivere schiacciato dall’opprimente, intollerabile e insostenibile angoscia provocata dalla vita.

I GIOVANI ANCHE SE SPESSO NE SONO INCONSAPEVOLI, STANNO MALE, E IL GIOCO DEL BLUE WHALE LO CONFERMA.

In molti avrete sentito parlare di questo strano e perverso gioco del suicidio, e in molti vi sarete chiesti: perché blue whale (balena blu)? Il motivo è semplice: l’enorme cetaceo, sovrano degli oceani, è uno dei pochi esseri viventi al mondo che decide volontariamente di arenarsi per poi morire. Come gli esseri umani essa si avvale delle libertà di farla finita. Si avvale di quella che possiamo chiamare libertà delle balene.

Concetto semplice e allo stesso tempo affascinante.

Ora non scenderò nei dettagli in merito al blue whale, poiché ciò vorrebbe dire dilungarsi ulteriormente, ma approfitto per segnalare questa tendenza come la goccia che dovrebbe far traboccare il vaso. Come ultimo grido disperato di una generazione che sprofonda sempre più velocemente.

Nonostante tutto è necessario sottolineare che molti sono stati coloro che hanno definito il blue whale un gioco basato su uno strano trattamento psicologico, al limite con la stregoneria, e che il vero pericolo consistesse nel fatto che le vittime di questa manipolazione fossero per lo più ragazzi che “stavano bene”. 

Grosso errore.

Il blue whale, fondamentalmente risveglia in chi lo pratica, attraverso cinquanta passaggi, uno stato depressivo già esistente anche se non del tutto consolidato. Attraverso espedienti di psicologia del terrore plasma l’immaginario del mondo di un giovane che vive già da tempo sul ciglio di un dirupo. Fa sì che il dolore provato e mai somatizzato dai giovani trovi sfogo nella più volgare espressione di analfabetismo emotivo (pericoloso male degenerativo all'interno della nostra società) e così facendo rintontisce ancor di più le fragili menti di chi vive periodi complessi, rendendoli incapaci di provare qualsiasi tipo di emozione dinnanzi ad atti autolesivi e alla morte. Sia la propria che quella altrui.

I video che circolano nel web ne sono la testimonianza.

E' importante affermare in conclusione che il blue whale non è la causa della morte di centinaia di giovani. Ma la conseguenza di un disagio generale. Una crudele strumentalizzazione del dolore giovanile. Esito di un male ben peggiore, nascosto tra i banchi di scuola, tra le mura di casa e in mezzo alle strade tra uso e abuso di sostanze.

Il problema più grande quindi non è scoprire che nostro figlio/a o fratello o sorella sia invischiato/a nel blue whale, ma il perché. Solo ed esclusivamente il perché. Il motivo alla base che può spingere un giovane a essere vittima di se stesso.

Come si può scoprire questo perché? Una possibile risposta a questa domanda potrebbe essere: chiedendo aiuto a chi può offrire un vero e proprio supporto di carattere pedagogico. Oppure riscoprendo e rivalorizzando quei contatti sociali che ormai sembrano aver ceduto il passo a una terribile apatia generale.

In caso contrario, se non ci si porrà il problema, sarà solamente possibile rimanere paralizzati dal terrore o dall’indifferenza. E sapete fino a quando? Purtroppo fin quando qualcuno a noi caro deciderà di concedere la sua esistenza alla libertà delle balene.

Salviamoci la vita.

Luigi Citroni.