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Fact checking: legge sull’editoria e fondi alla lingua sarda

  • Scritto da Effe_Pi

Al di la delle polemiche leggiamo la nuova norma sul finanziamento pubblico dei media, sembra esserci spazio anche per giornali, periodici e radio in lingua sarda, ma al momento chi potrebbe accedervi?

Negli ultimi anni si fa un gran parlare della tutela della lingua sarda, anche tramite il finanziamento ai media che la utilizzano, e al loro vero o presunto taglio. Ma esistono oggi finanziamenti che possano consentire ad un giornale in limba, ad esempio, di sopravvivere? Leggendo la legge sull’editoria approvata nei giorni scorsi dalla Camera (che ancora però deve passare al Senato), si trova all’articolo 2 la lettera c), che individua tra i beneficiari di fondi pubblici a sostegno dell’editoria le “imprese editrici di quotidiani espressioni di minoranze linguistiche”. Quindi, oltre alla Regione Sardegna (che l’ha già fatto in passato e probabilmente tornerà a farlo in futuro), ora anche lo stato italiano potrebbe finanziare una testata giornalistica in sardo: ma ne esistono? Finora il sardo è stato un po’ una “foglia di fico” per gli editori nostrani, lo strumento appunto per procacciarsi fondi pubblici, ma non risultano grandi investimenti sulla limba, dal punto di vista dei contenuti e dei palinsesti. A parte qualche esperimento sul web, non ci sono al momento giornali totalmente (e nemmeno prevalentemente) in sardo, come accade invece nei Paesi baschi o in Catalogna.

A poter accedere alle risorse del fondo unico nazionale (che potrà arrivare fino a un massimo di 600 milioni di euro di capienza) saranno in primis le società editoriali cooperative, quelle nate di recente, che non abbiano avuto più del 30 per cento dei loro introiti dalla pubblicità. Potrebbero poi essere premiati gli editori di “progetti innovativi che sfruttino le nuove tecnologie” e quelle che presentino progetti multiculturali “per favorire e incentivare l’integrazione tra diverse culture”, oltre a quelli che pubblicano in braille per i non vedenti. Nonostante le tante levate di scudi degli ultimi anni, la porta non sembra del tutto chiusa nemmeno ai giornali di partito, visto che il comma f) dello stesso articolo 2 ammettere alla richiesta cooperative il cui oggetto sociale “sia costituito esclusivamente dall’edizione di quotidiani o periodici, editrici di quotidiani o periodici organi di forze politiche che risultino rappresentate in almeno un ramo del Parlamento italiano o nel Parlamento europeo nella legislatura in corso o in una delle due legislature precedenti”. Il discorso vale anche per le radio con gli stessi requisiti, e c’è perfino un comma scritto apposta per Radio Radicale, dove si parla di emittenti radio che “trasmettano quotidianamente propri programmi informativi concernenti avvenimenti e questioni di carattere politico, economico, sociale, sindacale o religioso per almeno il 30 per cento delle ore di trasmissione comprese tra le ore 7 e le ore 20”.  

Nonostante si parli di favorire chi assume giornalisti, in particolare a tempo indeterminato, non tutti sono convinti che si pensi abbastanza ai diritti dei lavoratori: polemico, ad esempio, il presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti, Enzo Iacopino, che accusa in particolare il Partito democratico di non aver fatto passare un emendamento alla legge che avrebbe introdotto “l'obbligo per gli editori non solo di dimostrare che versano i contributi, ma che retribuiscono i giornalisti”. La modifica, presentata da Annalisa Pannarale di Sinistra Italiana, sembrava essere stata accolta in un primo tempo dalla maggioranza, che invece poi ha cambiato idea in corso d’opera, e così “quello schermo che era quasi per intero verde (cioè, emendamento approvato) è diventato in maggioranza rosso. Tre interi spicchi dell'aula, quelli dei deputati del Partito Democratico. Loro e solo loro. Con una macchia verde, in basso: la pattuglia di Sinistra italiana che ha avuto soltanto il conforto della parte destra dell'emiciclo: Fi, Lega, Fratelli d'Italia, qualche Ncd e altri sparsi”.