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L’utero in affitto e l’Italia dei social network

  • Scritto da Effe_Pi

Dibattito e scontro sulla paternità di Vendola e del compagno, tra gli interventi seguiti da polemiche anche quello della scrittrice sarda Michela Murgia, critica sulla GPA.

Pochi giorni fa mezza Italia era furiosa per la mancata tutela dei diritti degli omosessuali, con lo stralcio dell’adozione del figlio del partner (Stepchild adoption) dalla legge approvata dal Senato: oggi, i social network del balpese sono pieni di opinioni di ogni tipo sul figlio avuto con utero “in affitto” dall’ex governatore della Puglia Nichi Vendola, o meglio dal suo compagno canadese. Il piccolo Tobia, così si chiama il bimbo nato dalla GPA (Gestazione per altri) all'estero (in un paese dove è legale), è al centro di furiose polemiche. Tutta la destra anti gay è in rivolta, dal leader leghista Salvini, che ha parlato di “bestiale egoismo”  al vicepresidente del Senato Gasparri per il quale è una “pratica turpe”, ma a sorpresa anche a sinistra in molti si scagliano contro la “commercializzazione” dell’utero femminile. Se è vero che in tanti hanno cancellato le loro prese di posizione iniziali, piuttosto dure, sulla “svendita” del corpo femminile, spesso corredate di commenti omofobi allo stato puro, con addirittura condivisione di articoli del passato in cui si accusava Vendola di pedofilia, è vero che in tanti, soprattutto donne, mantengono una posizione fortemente critica.

Tra questi c’è la scrittrice sarda Michela Murgia, che in un post articolato su Facebook spiega la sua idea, prima attaccando la legge che impedisce le adozioni alle coppie omosessuali, ma poi arrivando alla conclusione che “nella discussione sulla GPA le coppie composte da soli uomini non “dovrebbero avere voce in capitolo, non più di quanto dovrebbero averne parlando di aborto”. Questo perché “la delicatezza e la specificità delle implicazioni del ricorso all'utero di una donna per avere un figlio da considerare proprio non permette di immaginare che persone non dotate di utero possano o debbano interferire in merito”. Per Murgia “solo le donne” potrebbero “dibattere su questo in maniera dirimente e arrivare a conclusioni legittime per tutti”. Addirittura, per l’autrice di Cabras, molte donne percepiscono le gravidanze già portate avanti “come atti di arroganza posti da soggetti che non avrebbero titolo per determinare le condizioni d'azione, eppure lo fanno” e se la GPA è usata da personaggi famosi come Vendola genera “fortissime chiusure anche in chi non ha alcuna resistenza all'idea che coppie gay possano aver figli e crescerli adeguatamente”. Ma non tutti sembrano essere d’accordo, nemmeno sulla sua bacheca, visto che c’è chi afferma che “devono essere le singole donne a decidere del loro corpo, ma non mi pare che nessuno abbia mai parlato di comportamenti che vadano contro l’autodeterminazione” oppure la accusa di aver dimenticato una parola “fondamentale” come amore, che sarebbe quello che spinge chi non può avere figli in altro modo a queste scelte. C’è anche chi parla di una scelta “così personale, a prescindere da chi vi ricorra (coppia etero o omo)” che non potrebbe essere trattata come giusta o sbagliata, specie in un paese con le proibizioni che ha l’Italia e conclude con un “Bagnasco non si è ancora pronunciato sul caso Vendola, aspetto la scomunica”.

Sempre dall’isola arriva un commento pubblicato dal “Manifesto Sardo”, a firma Federica Sgaggio, in cui si precisa che i «cataloghi» di donatori di cui si parla in queste ore “non esistono, se non negli Stati Uniti”, dove peraltro “c’è pure la pena di morte”: se li sarebbero messi in testa i detrattori della GPA “per dare a una cosa che non vi piace un’aura di inaccettabilità in cui tutto quello che si vede è una transazione del tipo di quelle che si realizzano quando si acquista una casa”. L’autrice arriva al culmine invitando i leoni da social a farsi “i cazzi vostri”, e in particolare “piantatela di pensare che le donne non possono decidere. In subordine, piantatela di pensare che «i bambini, oh i poveri bambini», perché non avete idea di cosa pensano i vostri figli di voi, o del vostro vicino. Piantatela di pensare che quel che non vi torna perché non ne avete fatto esperienza sia qualcosa sul quale «oh, beh, c’è da pensare, perché, sai»”. Quello che serve sarebbero “regole, perché nessuno debba pagare un prezzo troppo alto quando affronta un’esperienza così difficile come quella di essere messo di fronte a ciò che è apparentemente impossibile, e alla ricerca di una possibile via d’uscita. Non potete avere idea di quante domande ci si faccia, di fronte a una via d’uscita. Eppure dovreste, perché l’impossibile è capitato a tutti, oppure capiterà; e avrà sempre a che vedere con la vita e con la morte”.