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Intervista a Giuseppe Luigi Cucca, Partito Democratico

  • Scritto da Effe_Pi

Le INterviste di IteNovas.com sulle elezioni politiche del 4 marzo 2018. Quattro domande, sempre le stesse per tutti i candidati, sui temi caldi di questa campagna elettorale. 

L'intervista di oggi è con un protagonista delle prossime Elezioni politiche del 4 marzo, in particolare un candidato nei collegi della Sardegna. Oggi risponde alle nostre 4 domande Giuseppe Luigi Cucca del Partito Democratico, senatore uscente e candidato per la coalizione di centrosinistra come capolista nella circoscrizione plurinominale unica della Sardegna per il Senato. 

Qual è la novità di queste elezioni? Perché un sardo deluso dovrebbe recarsi alle urne?

La novità è che per la prima volta un partito che è stato al governo negli ultimi cinque anni si presenta davanti agli elettori con un bilancio positivo. Risultati concreti e tangibili che, forse, da alcuni non vengono percepiti tali, perché risalire dalla crisi profonda è stata un’impresa ardua, e ci vorrà del tempo prima di vedere compiutamente gli effetti delle buone politiche realizzate. Molte di quelle politiche hanno avuto, e avranno nei prossimi mesi, ricadute positive anche in Sardegna. Mai nessun altro governo si era speso così tanto per la nostra Isola. Ricordo alcune delle cose fatte: il patto per la Sardegna da quasi 3 miliardi di euro, l’Accordo sulle servitù militari, l’Intesa per La Maddalena, l’istituzione della zona franca nei comuni alluvionati, la legge sui piccoli comuni, l’impegno formale per riconoscere gli svantaggi dell’insularità. Queste sono alcune delle ragioni per cui i sardi il 4 marzo dovrebbero dare la fiducia al Partito Democratico, per portare a termine gli interventi già avviati, e per proseguire nel cammino di crescita dell’Italia e della Sardegna. Il voto al Pd è l’unica scelta responsabile, perché si sceglie la concretezza e la serietà.

Per la Sardegna serve autonomia, sovranismo o indipendenza? E perché?

La Sardegna è una regione autonoma, e ha già uno Statuto speciale che contiene una serie di norme applicate solo in parte, che andrebbero attualizzate, soprattutto alla luce del nuovo quadro europeo. Credo che la nostra regione, per poter affermare pienamente la sua Autonomia debba aprirsi a un nuovo scenario, di respiro europeo, e superare l’atteggiamento rivendicativo nei confronti dello Stato, il quale resta un interlocutore obbligato per accedere alle diverse prerogative che spettano alla nostra Isola. Più Autonomia non solo è possibile, ma è coerente con il programma del Partito Democratico, che a Roma ha già dimostrato di voler accogliere le istanze della Sardegna. Sarà compito dei parlamentari sardi una volta eletti difendere le ragioni della nostra Isola per dare seguito agli impegni presi, e attivare tutte le azioni necessarie per affermare ancora di più la nostra specialità.

Cosa ritiene di poter fare in Parlamento per i suoi concittadini di un’isola troppo spesso dimenticata?

Innanzitutto seguire l’iter per il riconoscimento delle tutele che ci spettano stante la condizione di insularità. Sul punto si dovrà dare seguito all’impegno formale del governo, anche ricorrendo al tavolo paritetico Stato-Regione come previsto nella finanziaria nazionale, dove sarà indispensabile il contributo dei parlamentari sardi. Le norme esistono, vanno solo attivate le procedure per renderle applicabili e, se necessario, rafforzate con una legge ad hoc, attuativa dell’art. 174 del TFUE. La prossima legislatura, inoltre, sarà decisiva sul fronte degli accordi già siglati con il governo, e si dovrà garantire la continuità con alcune iniziative che, per ragioni di tempo, non sono state portate a termine. Mi riferisco ad esempio alla proposta di legge per trasferire alla Sardegna la competenza esclusiva in materia di trasporti marittimi, e chiudere la partita delle vertenze industriali ancora irrisolte, specie nelle aree di crisi non complessa come Ottana e Macomer. Infine, si dovranno potenziare le misure a favore dei piccoli comuni e delle zone interne, finanziando la legge approvata lo scorso ottobre, e prevedendo politiche speciali contro lo spopolamento, in particolare quelle a sostegno delle giovani coppie e della famiglia.

Cosa pensa di insularità e Zona franca? Sono soluzioni praticabili che possono essere proposte alle camere?

L’insularità è una condizione geografica di svantaggio, da cui in parte discende anche la nostra specialità. Il fatto che si chieda il riconoscimento di questo principio in Costituzione è una forzatura giuridica che di per sé non produce effetti ulteriori rispetto alle leggi già esistenti, che devono invece essere applicate attivando i giusti canali. Mi riferisco in particolare all’art. 174 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea, che è una norma di rango costituzionale, la cui applicazione richiede però l’intervento dello Stato. Su questo c’è l’impegno formale del presidente Gentiloni e del Partito Democratico a portare l’istanza di insularità a Bruxelles, e definire nel dettaglio le dovute tutele, sia dal lato della mobilità e della continuità territoriale, che sul piano fiscale ed economico. In qualche modo il futuro accordo per il superamento degli svantaggi dell’insularità potrà contemplare anche tutti gli interventi in materia di fiscalità di vantaggio, fermi restando gli strumenti che sono già attivabili. Mi riferisco, in particolare, al regime di zona franca già riconosciuto in alcune aree (tra cui i comuni alluvionati e l’area di crisi complessa di Portovesme), e alle zone economiche speciali previste dal Decreto Sud.