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Call center sardi sempre più precari e in crisi

  • Scritto da Effe_Pi

Call center La Cgil denuncia la situazione della Dynamicall di Cagliari, dove in pochi anni si è passati da 120 a 50 operatori e si rischiano ulteriori tagli.

I call center sono uno dei pochi settori rimasti dove i giovani sardi (e non solo) trovano lavoro, di questi tempi: purtroppo, a giudicare dalle notizie degli ultimi giorni, anche rispondere al telefono sta diventando un’occupazione sempre più precaria e difficile da mantenere. A Cagliari, ad esempio, è crisi aperta per Dynamicall, che da quattro anni gestisce la commessa Enel Energia inbound. Lo denuncia la Slc Cgil, che parla di “settanta posti di lavoro bruciati in tre anni (da 120 a 50) e adesso l’annuncio di una drastica riduzione fina a soli 25” definendo quella della società con sede nel capoluogo “una storia di sfruttamento e continue violazioni del diritto sul lavoro”, che in questi giorni ha visto “l’ultima prepotenza, la risoluzione del rapporto di lavoro per alcuni lavoratori a termine, prima della scadenza”.

Il sindacato riepiloga tutta la storia, che inizia nel 2011, con “l’acquisizione della commessa da parte delle aziende Ichnos e Nesos, già operative nel territorio cagliaritano da alcuni anni, anche con altre ragioni sociali. Dietro i piccoli imprenditori sardi però, c’è sempre stato il network nazionale Call 2 Net, controllato dai fratelli Salvagno, a vario titolo legati alle società e alle commesse gestite a Cagliari e provincia”. All’epoca, i dipendenti errano oltre 120, ma poi un accordo “sottoscritto con i sindacati di categoria  territoriali e nazionali, che prevedeva il mantenimento dell’80 per cento dei dipendenti Ichnos e Nesos, è stato violato”. Già a dicembre 2012 la Slc di Cagliari ha intrapreso le cause legali per il mancato rispetto di quegli accordi.

Lo scorso gennaio, prosegue la Cgil, con “il passaggio alla Dynamicall (cambia il nome ma non il legame con lo stesso network Call 2 Net) la situazione peggiora, il call center impone solo contratti a termine e il sindacato si rivolge ancora una volta al giudice del lavoro per il riconoscimento del tempo indeterminato”.  Un atteggiamento, insomma, che purtroppo non sembra un’eccezione nel panorama dei call center, in Sardegna come nel resto d’Italia: l’organizzazione parla di “un modello, un sistema che vorrebbe far saltare tutele e diritti in un settore che ha bisogno invece di più regole, più controlli”. Dietro questi comportamenti potrebbe esserci un input a “delocalizzare l’attività, e conseguentemente reindirizzare i posti di lavoro abbandonando il cagliaritano”. Un modo per sfruttare le agevolazioni contributive di una normativa che il sindacato giudica sbagliata, perché prevede che anche i call center che vengono spostati da una regione d’Italia all’altra possano comunque usufruire di sgravi contributivi.