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Strumenti musicali sardi: Launeddas

  • Scritto da Gi_Pi

Launeddas | © Fotografia: Pietro Paolo Pinna, Nuoro (Archivio Ilisso)È indubbiamente lo strumento più antico e originale della tradizione musicale sarda, uno strumento che nel corso dei millenni ha raggiunto un notevole grado di perfezione costruttiva..

Anche questa settimana pubblichiamo una scheda estratta dal volume "SONOS - Strumenti della musica popolare sarda" pubblicato dalla ILISSO Edizioni di Nuoro, che ci ha gentilmente concesso la possibilità di diffondere e valorizzare un'altro aspetto della ricchezza culturale della nostra Isola: la musica e l'originalità del patrimonio organografico Sardo.

Uno degli obiettivi della nostra iniziativa editoriale è la valorizzazione e diffusione delle eccellenze sarde, siano esse culturali, tecnologiche, economiche e imprenditoriali, e la ILISSO Edizioni rientra certamente in una di queste categorie.


Launeddas | © Fotografia: Pietro Paolo Pinna, Nuoro (Archivio Ilisso)Aenas (Logudoro)
Benas (centro)
Bídulas (Ovodda)
Bísonas (Tortolì)
Bisonas (Villaputzu)
Bisones (Talana)
Bísunas (Perdasdefogu)
Bízzulas Ísunas (Perdasdefogu)
Enas
Launeddas
Leuneddas
Lioneddas
Liuneddas
Sonus de canna
Triedda
Trubeddas (Montiferru, Planargia)
Truedda
Trupeddas
Truveddas
Vídulas (Barbagia)
Visones (Baunei)

Dati generali
Strumento in uso
Carattere prevalentemente melodico
Costruito generalmente da chi lo suona
Occasione indeterminata

Area di attestazione
Cabras, Campidano di Cagliari, Campidano di Oristano, Ovodda, Sarrabus

È indubbiamente lo strumento più antico e originale della tradizione musicale sarda, uno strumento che nel corso dei millenni ha raggiunto un notevole grado di perfezione costruttiva.

È composto essenzialmente di tre tubi di canna comune (Arundo donax) di differente diametro, spessore e lunghezza, due legati ed uno sciolto. Le due canne legate, che formano sa croba, o loba, prendono il nome di tumbu e mancosa (o mancosa manna), quella sciolta è chiamata mancosedda o destrina. Su ciascuna di esse si innesta su cabizzinu o launedda, una canna sottile su cui viene escissa l’ancia (linguazza).

Su tumbu è la canna del bordone, senza fori per le dita e dal canneggio lievemente conico. A seconda del taglio del cunzertu può avere una lunghezza variabile dai 40 ai 150 centimetri circa e per poterlo riporre nella custodia (straccasciu) può essere smontato in due o anche tre pezzi. La prolunga smontabile del tumbu prende il nome di ’nzetta (Sarrabus), iuntura (Trexenta) o guetta (Cabras).

Per innestare i vari pezzi si svuota internamente il bordo superiore della prolunga, che costituirà la femmina; quindi, con una modanatura nell’estremità inferiore del tumbu si realizza il maschio della giuntura. Inoltre, per facilitare il montaggio delle canne vi si incidono dei segni in prossimità di due giunti, segni che devono essere affiancati quando il tumbu è montato correttamente. Nei tumbus di una certa lunghezza, in tre pezzi, si procede analogamente, realizzando il maschio nella parte inferiore del primo prolungamento e la femmina nella parte superiore del secondo. Per rinforzare la giuntura femminile, che come si è detto è assottigliata all’interno, si riveste il bordo con alcune spire di spago impeciato.

La canna viene perfettamente pulita all’interno sfondando tutti i nodi, i quali esternamente vengono invece accuratamente lisciati o asportati facendo attenzione a non rovinare la superficie lucida e resistente della canna. Come si è detto, nell’estremità superiore di ciascuna canna si innesta su cabizzinu con l’ancia. Questo deve essere di dimensioni proporzionate alla lunghezza e alle dimensioni del tubo, ma nel caso che risultasse troppo grosso si provvederà a creare anche qui un innesto o un semplice “invito” assottigliando internamente la parte superiore del tumbu ed esternamente quella de su cabizzinu.

Al contrario, se il suo diametro è troppo sottile rispetto a quello della canna, si dovrà inserire all’interno del tumbu un anello di canna come spessore. In ogni caso si sigilla l’innesto del cabizzinu con cera vergine per garantirne la perfetta tenuta e si rinforza esternamente con alcune spire di spago. Il tumbu, non avendo fori per le dita, produce ovviamente un unico suono che rappresenta la tonica, o nota fondamentale dello strumento.

Una volta costruito, l’intonazione può essere modificata unicamente appesantendo l’ancia con un grumo di cera o eventualmente accorciando la lunghezza della canna. La canna del tumbu deve essere dritta e sottile; una canna di grosso spessore risulterebbe oltremodo pesante negli strumenti di grandi dimensioni, sbilanciandoli in avanti.

Per la mancosedda, e soprattutto per la mancosa, si ricerca invece una canna di spessore molto grosso con una luce interna estremamente ridotta (canna ’e Saddori o canna mascu), che cresce in una zona ben circoscritta dell’Isola, grosso modo tra Barumini, Sanluri e Samatzai. Questa canna è estremamente resistente ma allo stesso tempo presenta un canneggio molto stretto che conferisce un particolare timbro allo strumento.

La mancosa è la seconda canna, costruita in un unico pezzo con cinque fori rettangolari nella parete anteriore. I primi quattro partendo dall’alto sono i fori per le dita (crais), l’ultimo in basso, più lungo degli altri (s’arrefinu o bentiadori), serve per accordare lo strumento. Aggiungendo o togliendo della cera vergine nella parte superiore di questo foro si può infatti allungare o accorciare la colonna d’aria vibrante nel tubo con il conseguente abbassamento o innalzamento dell’intonazione. È ovvio inoltre che la porzione di canna che si trova più in basso de s’arrefinu è ininfluente per l’intonazione dello strumento ma a detta dei costruttori contribuisce ad arricchirne il timbro.

L’estremità superiore della mancosa, dove si innesta la cannuccia dell’ancia, è simile a quella del tumbu con il bordo rinforzato dallo spago impeciato. La posizione e la distanza dei fori per le dita è proporzionale al taglio dello strumento: più è grave, più sono distanziati e viceversa.

Come si è accennato, la coppia tumbumancosa forma la croba o loba. La prima legatura si effettua con lo spago in prossimità dell’innesto dei cabizzinus, e viene rinforzata con della cera; la seconda in prossimità del nodo della mancosa e oltre allo spago prevede l’utilizzo di un pezzetto di canna per distanziare i due tubi. Nel punto in cui viene realizzata questa seconda legatura si provvede spesso ad intagliare nelle canne un’apposita sede. La mancosedda, la canna sciolta suonata con la destra, è del tutto simile alla mancosa; l’unica differenza costruttiva può essere data in certi strumenti dalla presenza di un quinto foro per le dita. Ordinariamente questo foro è chiuso con la cera.

Testo: Giulio Paulis | Fotografia: Pietro Paolo Pinna, Nuoro (Archivio Ilisso)

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