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Le microplastiche mettono a rischio il cibo del nostro mare

Secondo una ricerca dell’Università di Cagliari la loro presenza potrebbe cancellare i protozoi, cibo per numerose altre specie marine.

Le microplastiche disperse in mare minacciano la sopravvivenza di piccoli organismi marini unicellulari, i foraminiferi, protozoi che sono cibo per numerose altre specie.  "L'inquinamento chimico combinato con l'acidificazione delle acque potrebbe portare alla scomparsa dei foraminiferi entro il 2100: un'eventualità da scongiurare", spiega Giovanni Battista De Giudici, specialista del dipartimento di Scienze chimiche e geologiche dell'università di Cagliari, coautore di una ricerca pubblicata sulla rivista 'Enviromental Pollution', con le colleghe Carla Buosi e Daniela Medas e ricercatori di altri atenei.

"I foraminiferi sono una componente fondamentale dell'ecosistema e la loro biodiversità e abbondanza sono elementi essenziali per la resilienza ambientale rispetto ai cambiamenti climatici". La ricerca 'Plastics, (bio)polymers and their apparent biogeochemical cycle: an infrared spectroscopy study on foraminifera' si è concentrata sugli effetti delle microplastiche di produzione industriale (che contengono il plasticizzante Dehp) sui gusci e il citoplasma dei foraminiferi, organismi marini unicellulari, presenti ovunque nel mare e che rappresentano uno degli ingressi verso la catena alimentare.

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Un effetto positivo della presenza in mare di molte specie dei foraminiferi è determinato dal loro guscio di carbonato di calcio che contribuisce a riassorbire la CO2 atmosferica.  I risultati della ricerca dimostrano che le microplastiche sono presenti nel guscio e nella cellula dei foraminiferi analizzati: è stato dimostrato per la prima volta che la presenza delle plastiche induce uno stress cellulare in questi microrganismi. Inoltre, il plasticizzante Dehp viene incorporato nella cellula e anche nel guscio. Lo studio conferma come la plastica sia un inquinante pericoloso delle acque: la sua presenza è talmente abbondante nei sedimenti fluviali e marini che i suoi effetti sono molto preoccupanti.   

Foto | Oregon State University su Flickr