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Pane di Sardegna: su Civraxiu

  • Scritto da Effe_E

Civraxiu

La tradizione gastronomica sarda è semplice e austera, ha gusti, sapori e odori il più delle volte inconsueti per chi viene d'oltremare, come insoliti sono i nomi delle pietanze. 

Su coccoi, cozzula, carasau, chibarzu, civraxiu, moddizzosu, pillonca, tundus, pan 'e scetti, pan 'e simula, tanto per citarne alcuni. Sono tutti nomi dati a pani o focacce in varie zone dell'isola secondo il tipo di farina, formato o cottura.


PANE CIVRAXIU

SINONIMI: Viene anche chiamato “civràxu” (deriva dal latino cibàrius, ossia cibo per eccellenza) e "civàrxu”.

TERRITORIO INTERESSATO ALLA PRODUZIONE: Tutto il territorio della Regione Sardegna con particolare riferimento alla zona del Campidano di Cagliari (il comune di origine è Sanluri).

Pane di grossa pezzatura, oltre i 2 kilogrammi (anche se si possono trovare di pezzatura inferiore, ma non al di sotto di 1 kg), ben lievitata, di colore grigio dorato, rispecchiante il colore della spiga matura del grano.

Ingredienti: semola di grano duro, sale, acqua e lievito naturale (“su fermentu” o “sa mamma”) che deve essere rinnovato quotidianamente.

Attualmente nei panifici industriali vengono utilizzati anche lieviti chimici per poter ridurre i tempi di produzione.

La lavorazione avviene attraverso le seguenti fasi:

- amalgama degli ingredienti: in questa fase l’impasto viene costantemente inumidito in modo da mantenere la necessaria elasticità;

- lievitazione dell’intero impasto all’interno di una grossa madia per circa 60/90 minuti;

- pezzatura a mano della pasta che viene riposta dentro i cestini, rivestiti di teli di lino o di cotone, che hanno la funzione di assorbire l’umidità della pasta e dare, di conseguenza, il tipico colore dorato alla crosta del Civraxiu. Qui avviene la seconda e definitiva lievitazione della durata di circa due ore;

- la cottura (che dura circa 60 minuti a 300°C) conclude il ciclo di produzione.

Originariamente la cottura avveniva nel forno sardo, costruito con mattoni refrattari capaci di non disperdere il calore, alimentato con fascine aromatiche tipiche della macchia mediterranea (cisto, lentischio, mirto).

Inoltre per evitare l’abbassamento della temperatura all’interno del forno, con una operazione rapidissima, le braci venivano asportate dall’interno, utilizzando una scopa di arbusti freschi, quali malva, ortiche, sambuco, lentischio, e depositate all’imboccatura del forno. Attualmente si utilizzano i forni elettrici, a vapore o a ciclo termico.

Questo tipo di pane veniva consumato soprattutto da coloro che lavoravano in campagna, poiché era considerato il pane dei poveri e per il suo colore scuro era chiamato anche pane nero (pani nieddu) dal colore della farina scura.

L’archeologo Giovanni Lilliu nella prefazione del libro “In nome del pane” - Carlo Delfini Editore, afferma che tale lavorazione già prima della fine del ‘700 era fortemente connaturata nella realtà quotidiana.