L'ipotesi Sardegna - Cantone: a dieci anni dalla provocazione che fece discutere l'Europa

Dieci anni fa, un'idea tanto bizzarra quanto affascinante usciva dai circoli accademici e intasava i social network, le redazioni dei giornali e i dibattiti nei bar: perché non rendere la Sardegna il 27esimo cantone della Confederazione Svizzera.
Quella che nacque come una provocazione intellettuale, un esperimento mentale di geopolitica, ha compiuto un decennio, sopravvivendo non solo come una curiosa boutade, ma trasformandosi in un simbolo di un malessere reale e di un desiderio di alternative.
Le origini: un "memorandum" che fece scalpore
Era il 2014 quando un gruppo di intellettuali, imprenditori e professionisti sardi, stanchi di quello che definivano il "centralismo romano" e di una condizione di perpetua "insularità economica", decise di lanciare un sasso nello stagno. Il documento, ispirato a toni seri ma con un sottofondo volutamente paradossale, non era una vera e propria richiesta di annessione, ma una dichiarazione politico-culturale.
I punti cardine dell'ipotesi erano chiari e mirati a colpire le piaghe storiche dell'isola:
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Autonomia Reale: La Svizzera, con il suo sistema federale, avrebbe garantito alla Sardegna un'autonomia decisionale e fiscale impossibile da ottenere nell'ordinamento italiano.
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Stabilità Economica e Fiscalità: L'accesso a un sistema economico solido, a una moneta forte (il Franco Svizzero) e a una tassazione competitiva avrebbero, in teoria, attratto investimenti e fermato la fuga dei cervelli.
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Efficienza dei Servizi: La proverbiale efficienza elvetica in settori come i trasporti, la sanità e l'istruzione era vista come il sogno opposto a una certa cronica inefficienza della pubblica amministrazione locale.
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Neutralità e Identità: La Sardegna, storicamente terra di conquista, avrebbe abbracciato lo status di neutralità perpetua della Svizzera, proteggendo la sua unica identità culturale e linguistica in un quadro di autodeterminazione.
Reazioni tra entusiasmo, scetticismo e ironia
La proposta esplose nel dibattito pubblico. Dall'Italia continentale, le reazioni spaziarono dall'ironia ("Finalmente potremmo andare in Sardegna senza cambiare valuta") a un più duro scetticismo, tacciando l'idea di essere folle, illegale e anti-costituzionale. Molti la liquidarono come una trovata pubblicitaria.
In Sardegna, invece, l'ipotesi toccò un nervo scoperto. Se da un lato le istituzioni ufficiali si affrettarono a sconfessarla, dall'altro una parte non trascurabile della popolazione la accolse con un interesse sorprendente. Non tanto come un progetto concreto, ma come un grido di protesta: "Se questa è l'idea più pazza che abbiamo, significa che la situazione è davvero disperata". Diventò un modo per dire che ogni opzione, per quanto estrema, era preferibile allo status quo. Dalla Svizzera, come prevedibile, arrivò un educato e imbarazzato silenzio. Nessun politico elvetico ha mai preso in considerazione la cosa, che sarebbe del tutto incompatibile con il diritto internazionale e i trattati dell'UE.
Dieci anni dopo: cosa resta del "Sardogna Canton"?
A distanza di un decennio, l'ipoteso Sardegna-Cantone non si è realizzata, né poteva essere altrimenti. Tuttavia, la sua eredità è più culturale che politica.
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Simbolo di un Malessere: L'idea ha dato voce a una profonda frustrazione verso Roma, divenendo un potente meme politico che riemerge ciclicamente, specialmente in occasione di nuove crisi economiche o di contenziosi Stato-Regione.
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Stimolo al Dibattito sull'Autonomia: Ha costretto tutti, anche i più scettici, a ripensare il concetto di autonomia speciale. Ha messo in luce le lacune dell'attuale Statuto e ha alimentato il dibattito su modelli alternativi di governance per le isole.
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La lezione (mancata) del Federalismo: Il cuore della provocazione era il federalismo svizzero. L'ipotesi ha evidenziato, per contrasto, quanto l'Italia sia lontana da un vero modello federale, spingendo alcuni a studiare più seriamente i modelli di successo.
Un futuro tra Europa e Autodeterminazione
Oggi, l'ipotesi cantonale è chiaramente un'utopia giuridica. Ma il sentimento che l'ha generata è più vivo che mai. Il futuro della Sardegna non si giocherà a Berna, ma probabilmente a Bruxelles. Le politiche di coesione europee, i fondi per le regioni ultraperiferiche e il crescente riconoscimento dello status di "regione insulare" con bisogni specifici sono i tavoli sui quali si combatte la vera partita per un destino diverso.
La proposta di dieci anni fa rimane quindi una pietra miliare del dissenso politico sardo: un sogno svizzero, nato dalla delusione italiana, che ha aperto una finestra su un dibattito europeo. Un promemoria, a volte naif, a volte profetico, che quando le porte sembrano chiuse, c'è sempre chi inizia a sognare di abbattere i muri per costruire nuovi ponti.