Da Capo Frasca una coalizione contro le basi
- Scritto da Effe_Pi
Migliaia di sardi alla manifestazione di sabato contro le servitù militari, davanti al poligono dove di recente si sono verificati incidenti durante le esercitazioni.
Un risveglio della nazione sarda e della sua identità, come dicono gli organizzatori, o più semplicemente un’espressione forte dell’amore dei sardi per il proprio territorio e la sua tutela? E’ difficile dire quale sia esattamente il significato di ciò che è successo sabato scorso a Capo Frasca, dove un gran numero di cittadini dell’isola (sicuramente oltre 5mila, ma secondo alcuni più di 10mila), hanno manifestato per la chiusura del poligono militare presente nell’area, dopo i recenti incidenti, e più in generale per la dismissione di tutte le basi militari presenti in Sardegna.
La cosa certa è che si è formata una coalizione di fatto, molto eterogenea ma vasta, che ha deciso di riprendere con forza una lotta che non si è mai fermata (molti dei presenti ricordano manifestazioni simili nei decenni scorsi): un fronte che passa dall’indipendentismo “radicale” di chi ha organizzato il sit -in (Progres, Sardigna Natzione, Fiu - A manca pro s’indipendentzia) a quello di “governo” (Irs, con Gavino Sale in primis), per arrivare alla coalizione di “partiti italiani” che oggi governano la regione (Sel, senza bandiere ma con parlamentari, dirigenti regionali e molti militanti, e il Pd, con Renato Soru e altri esponenti), fino al Movimento 5 Stelle e forze sociali come il sindacato Usb (Unione sindacale di base) e il Movimento pastori sardi, oltre a tutti i comitati che da tempo lottano sul territorio contro gli insediamenti militari.
Un fronte secondo alcuni fin troppo vasto, visto che include l’ex presidente della regione (oggi deputato) Mauro Pili e il quotidiano L’Unione Sarda, che ha distribuito in edicola migliaia di bandierine blu contro le servitù, onnipresenti a Capo Frasca: realtà lontane da quelle del radicalismo politico così presente sabato, in passato agli antipodi rispetto a posizioni pacifiste e antimilitariste (basti ricordare l’apologia della “guerra al terrore” in Afghanistan ed Iraq portata avanti dal quotidiano di Cagliari).
Insomma, una lotta alle basi dove al momento sembra esserci spazio proprio per tutti, anche se gli slogan maggiormente scanditi (e composti in gigantesche scritte sulla collina di fronte al poligono) sono stati “Indipendentzia” e “A fora”, e il palco è stato monopolizzato dai radicali di A Manca e dalla coalizione che alle ultime regionali ha sostenuto la scrittrice Michela Murgia, che è intervenuta personalmente. Quindi, una serie di interventi contro le basi e per rivendicare di aver costruito un momento “storico” per l’isola, ma anche contestazioni agli “ipocriti”, i “nemici dei sardi”, e coloro che in Parlamento come in regione non avrebbero fatto in passato (e nemmeno oggi), niente per liberare la Sardegna da una schiavitù che preclude ai cittadini fette importanti di territorio, oltre a pregiudicare la loro salute e la tutela ambientale di luoghi meravigliosi come Capo Frasca.
Una rabbia comprensibile, ma che cozza con il tentativo di costruire un’ampia alleanza che possa portare a risultati concreti, e non a caso tra gli interventi più applauditi c’è stato quello dell’esponente Mps, concluso con un esplicito “vi amo tutti come sardi, al di là delle bandiere che portate”. Risultati come la costituzione di parte civile della regione nel processo Quirra vengono considerati da molti minimi e scontati, ma in realtà non erano mai stati ottenuti con la giunte sarde del passato, nemmeno quelle guidate da chi oggi sembra pronto a una rivoluzione per cacciare l’invasore. Del resto, nonostante le proposte di referendum, non sembra esserci un consenso unanime sullo smantellamento delle basi, come dimostrano le tante scritte sulle strade intorno Capo Frasca del genere “Giù le mani dalle basi” (subito corretto con “dalla Sardegna”): scritte forse realizzate dagli abitanti della vicina Sant’Antonio di Santadi, che hanno un “indotto” dalla vicinanza dei militari, ma che rappresentano un sentimento da non sottovalutare, visto che molti sardi hanno interessi di questo tipo, e ancora di più sono coloro che lavorano nei poligoni.
Il movimento è eterogeneo ma forte, e sembra disposto ad andare avanti per molto tempo e con pratiche anche radicali: in piazza c’erano tutte le realtà dell’estremismo di sinistra “autonomo” sardo (inclusi alcuni condannati per terrorismo), e quando centinaia di persone si sono raccolte di fronte al cancello della base, fronteggiando Polizia, Carabinieri e Finanza presenti in forze già sul ponte di Marceddì, si è temuto il solito epilogo fatto di scontri, cariche e strumentalizzazione dei “violenti” per sminuire il significato dell’evento. Invece, a sorpresa, nonostante il lancio oltre il cancello di bottiglie, sassi e fumogeni, non si sono avuti incidenti, anzi le forze dell’ordine hanno consentito a centinaia di manifestanti di entrare nella base e restare a lungo al di la dell’ingresso, violando simbolicamente quella “zona rossa” che tante volte, da Genova 2001 in poi, era stata difesa anche con la violenza dallo Stato.
Aria nuova, insomma, anche per quanto riguarda le risposte a questo tipo di movimento? è presto per dirlo, come è prematuro definire questa giornata “storica”: di sicuro, sabato a Capo Frasca, per chi c’era e per tutti coloro che hanno aderito, è stata una giornata che ha intaccato il tipico fatalismo dei sardi secondo cui “manifestare non serve a niente” e “tanto fanno come vogliono loro”. Se si evitano eccessive strumentalizzazioni e si riesce a dare una qualche struttura a questa “coalizione”, nel tempo si possono sicuramente ottenere risultati concreti, sempre che per una volta si dimostri di non essere “pocos, locos y mal unidos”.