Mafia, la storia di don Luchino Bagarella, il boss irriducibile
- Scritto da Effe_Pi

Il feroce boss dei corleonesi ora si trova in carcere a Sassari Bancali, sepolto da 13 ergastoli e al 41-bis, da lui mai nessun cenno di pentimento.
Di Serpico
Leoluca Biagio Bagarella, conosciuto a Corleone come Luchino nasce nel 1942.
È figlio di Salvatore, noto per essere un mafioso della zona. Tra gli immensi feudi del Corleonese, i fondi un tempo appartenenti ai grandi proprietari terrieri sono governati e amministrati senza troppi scrupoli da campieri e gabellotti. Spregiudicati e violenti, nella campagna dove i derelitti e i
possidenti sono agli antipodi della scala sociale immobile da secoli si insinuano loro, con la coppola in testa e il fucile in mano. I mafiosi!
Salvatore Bagarella è uno di questi! Ha una famiglia numerosa e gode del rispetto che si deve al mafioso di paese. Non dovrà quindi stupire il fatto che i figli Calogero e Giuseppe seguano con naturalezza le orme del padre. Luchino è il figlio maschio più piccolo e completano la famiglia, che abita nella parte alta del paese, Giovanna, Maria Matilde e Ninetta. Siamo negli anni cinquanta e Maria Matilde è fidanzata con un certo Ambrogio Miceli, allevatore del posto.
Ambrogio non è ben visto dai Bagarella, non è lui l’uomo che Salvatore vorrebbe dare in sposa sua figlia e non glielo manda a dire. Lo manda a chiamare e al cospetto dell’intera famiglia ribadisce al giovane che non è persona gradita in senno alla famiglia. Ad un certo punto il fidanzamento finisce e Ambrogio, spesso in preda ai fumi dell’alcool, infanga pubblicamente la sua ex fidanzata rilevandone anche dei particolari intimi. I Bagarella chiamano a rapporto il giovane incosciente e lo esortano a cessare di offendere l’onorabilità della giovane Maria.
L’allevatore incurante invece continua pericolosamente a deridere la ragazza e tutta la famiglia. Verrà trovato morto crivellato di colpi d’arma da fuoco in un vicolo polveroso di Corleone. Calogero e Giuseppe sono immediatamente accusati dell’omicidio e si buttano latitanti. Siamo nel 1957 e
Luchino ha quindici anni. Calogero entrerà a far parte della banda mafiosa di Luciano Liggio insieme a Totò Riina e Bernardo Provenzano.
Entreranno in conflitto con il medico Michele Navarra e lo uccideranno nel 1958. Inizierà una faida che lascerà sul selciato e nelle campagne arse dal sole e dalla miseria decine di morti e decine di scomparsi.
Calogero Bagarella morirà nella strage di viale Lazio nel 1969 mentre Giuseppe morirà (avvelenato?) in carcere. La famiglia dei Corleone nel frattempo arriverà in città, a Palermo per entrare in guerre con le famiglie storiche mafiose. Più che una guerra fu uno sterminio che cambierà per sempre gli asseti del potere mafioso in tutta la Sicilia e non solo. I Corleonesi di Liggio e di Riina saranno per decenni i padroni assoluti di Cosa Nostra. Luchino diventerà un killer spietato, feroce e implacabile con i nemici. Riina ha sposato sua sorella Ninetta e pertanto le due famiglie diventano “una cosa sola”. Luchino è rabbioso e affidabile ed un implicato in decine e decine di omicidi. La sua carriera mafiosa e criminale è veloce e soprattutto riconosciuta sul campo dal punto di vista militare. Fa parte di uno spietato gruppo di fuoco che uccide nemici ed esponenti delle forze dell’ordine nei tremendi anni della guerra di mafia dove le strade di Palermo si riempirono di sangue. Leoluca Bagarella uccise il maresciallo in pensione Sorino colpevole di essere troppo zelante nelle indagini sulle cosche palermitane alleate ai corleonesi. Il maresciallo era considerato “un archivio vivente” e il suo contributo prosegui anche dopo la pensione. Un killer solitario lo uccise nel 1974 nella borgata di San Lorenzo.
Nel 1979, nel bar Lux di via Di Blasi a Palermo, Bagarella uccise, sparandogli alle spalle, il mitico commissario di polizia Boris Giuliano, capo della squadra Mobile. La sua colpa fu quella di scoprire il covo di Bagarella a Palermo e di aver capito prima di altri il ruolo dei Corleonesi nella nuova mappa del potere mafioso e il loro coinvolgimento del traffico di eroina mondiale. In quel periodo la Sicilia diventò lo snodo nevralgico de traffico di stupefacente e le raffinerie vennero trasferite nell’isola proprio alla fine degli anni ’70. Le alleanze e il rafforzamento delle relazioni tra famiglie mafiose passano e passano anche per vie matrimoniali e lo stesso Luchino si fidanza con Vincenzina Marchese, appartenente alla famiglia
dei Marchese di Corso dei Mille. Famiglia mafiosa tra le più spietate potenti di quel periodo. Vincenzina è nipote di Filippo Marchese
“Milanciana” paranoico, cocainomane e sadico assassino. Uccideva dopo immani torture le sue vittime in una casupola sul mare nel molo di Sant’Erasmo a Palermo. I malcapitati venivano strangolati, sciolti nell’acido o buttati in mare. Vincenza era sorella inoltre di Antonino e Giuseppe, feroci killer e uomini d’onore.
Nonostante le decine e decine di omicidi commessi e ordinati Leoluca Bagarella al maxiprocesso nel 1986, istruito dai giudici Falcone e Borsellino, verrà condannato ad una pena di sei anni, ridotta a quattro in appello. Tornato in libertà nel 1990 sposerà Vincenzina in un sontuoso matrimonio a Villa Igea, l’hotel più lussuoso e prestigioso di Palermo. Cerimonia da “mille e una notte” a dispetto della proverbiale “sobrietà di Riina e Provenzano, il matrimonio verrà celebrato con le musiche del film “Il Padrino” con centinaia di invitati, abito bianco dal velo lunghissimo di organza per la sposa e un elegantissimo abito scuro per il boss alla guida di una Rolls-Royce. Simbologia del potere e del prestigio mafioso da esibire. Matrimonio tuttavia osteggiato dalla famiglia Bagarella, Vincenza “una di città” secondo i canoni corleonesi non era la donna adatta per Luchino che tuttavia fu irremovibile perché sinceramente innamorato della sua sposa. Il matrimonio però non sarà felice e avrà i tratti della tragedia greca.
Don Luchino continuerà ad uccidere con determinazione e freddezza. Condividerà la stagione stragista e ordinerà insieme agli altri boss le stragi dove perderanno la vita i giudici Falcone e Borsellino e la strategia terroristica delle bombe del 1993 di Milano, Roma e Firenze. Si macchierà anche dell’orrendo sequestro e omicidio del piccolo Di Matteo figlio di un pentito. Leoluca avallò la decisione che porterà all’eliminazione del piccolo.
Qualcosa si spezza nella mente di Vincenzina. In quel periodo soffriva di depressione, ebbe due aborti e si convinse che fosse una punizione divina per il coinvolgimento di suo marito nel crimine contro un bambino. La sua salute mentale andò via via deteriorandosi sempre più e si aggravò ulteriormente quando il fratello Giuseppe decise di collaborare con la giustizia. Fu il primo collaboratore di giustizia tra le file della mafia vincente e questo per la famiglia rappresentò un marchio d’infamia che certamente creò non pochi problemi anche ad un boss del calibro di Bagarella. Di Vicenzina, ormai ridotta all’ombra di sé stessa si persero le tracce. Secondo alcuni mafiosi poi pentiti si tolse la vita il 12 maggio 1995 nell’appartamento dove abitava con il marito. Lui stesso la trovò, impiccata! Ipotesi diverse invece si susseguirono a suffragio della
tesi che Vincenza fosse stata eliminata in quanto sorella di un pentito.
La durezza dello spietato killer diventato boss lasciò spazio al dolore di un marito inconsolabile che aveva amato la sua donna, un amore osteggiato ma che non poteva reggere al peso delle morti, delle tragedie delle loro vite all’interno di Cosa Nostra. Don Luchino chiamò pochi uomini fidati e seppellì la sua donna in un luogo segreto dove nessuno la potrà mai trovarla. Bagarella subito dopo cadde in uno stato di profondo sconforto. Diede ordine di interrompere le esecuzioni e gli omicidi. Verrà arrestato a Palermo il 24 giugno dello stesso anno. Nel suo covo gli inquirenti trovarono la
foto della moglie con un mazzo di fiori e un biglietto che sembrava annunciare un addio, mentre al collo del boss, attaccate alla catenina, c'erano la fede nuziale della donna e una medaglia con la sua foto. Sepolto da 13 ergastoli, ora è detenuto nel supercarcere di Bancali in Sardegna sottoposto al regime di massima sicurezza del 41-bis. La sua condotta carceraria è costellata da episodi violenti con detenuti e personale dell’amministrazione carceraria. Irriducibile e mai pentito da anni non socializza con nessuno. Vive completamente isolato e gioca a carte da solo o forse con i suoi demoni, testimoni di una vita costellata di morti.
Foto | Global Panorama su Flickr