Strani suicidi e mafia: 1995, Il caso del maresciallo Lombardo - Seconda parte
- Scritto da Effe_Pi
Il 4 marzo 1995, all’interno del cortile della Caserma dei Carabinieri “Bonsignore” nel cuore di Palermo, il maresciallo Antonino Lombardo, di 49 anni e con una lunga carriera alle spalle, viene trovato morto per un colpo di pistola alla tempia destra, all’interno della sua auto parcheggiata nel cortile interno della caserma.
Di Serpico
(... qui la prima parte)
Dall'odio viscerale di Badalamenti verso Totò Riina potrebbe nascere una voglia di rivalsa contro i viddani, attraverso un contributo a favore dello Stato. Lombardo è depositario di tanti segreti e parla con i suoi superiori. Badalamenti parla con Lombardo. Come tutti i boss che si rispettino è guardingo, spocchioso, sospettoso e parla un linguaggio intriso di codici fatti di allusioni e messaggi decifrabili solo per chi ne abbia le chiavi di lettura. Il maresciallo Lombardo intraprese due viaggi negli USA, il 14 ottobre ed il 12 dicembre del 1994, accompagnato dal Maggiore Mauro Obinu, per incontrare Badalamenti nel carcere di Fairton (New Jersey).
Badalamenti è persino disposto a venire in Italia e parlare con i magistrati, ma non in veste di “pentito”. Vorrebbe chiarire alcuni aspetti e smentire alcune testimonianze rese da Buscetta. Ma si fida solo del maresciallo Lombardo e lo avverte di “stare attento ai suoi superiori che per motivi politici e di potere sono collegati a strani personaggi” Il terzo viaggio che avrebbe dovuto intraprendere il maresciallo non si farà mai, “per ordini superiori”, e Badalamenti non verrà in Italia. Morirà nel 2004, portandosi nella tomba tanti segreti di Cosa Nostra. Da tempo Lombardo era a conoscenza di essere nel mirino delle cosche, soprattutto dopo aver attivamente contribuito alla cattura di Riina.
Era preoccupato per la sua famiglia e ben consapevole che la campagna di delegittimazione contro di lui fosse già in atto da tempo. Venne accusato di essere “colluso”, o comunque troppo in “confidenza” con i D’Anna di Terrasini. Famiglia imparentata con Don Tano per via della sorella del boss, sposata con Girolamo D’Anna. Per questo motivo, durante la guerra di mafia, sono schierati con le famiglie perdenti, ma stranamente verranno risparmiati dalla furia corleonese. Il potere dei D’Anna verrà circoscritto solo alla loro zona. È appurato ormai che nello svolgimento del suo lavoro investigativo il maresciallo si servisse di confidenti e informatori: plausibile l’ipotesi che attraverso questi contatti gli sia arrivato “il contatto” con Badalamenti.
Ma è evidente che qualcuno, rimasto nell’ombra, temesse eventuali e future dichiarazioni “spontanee” del boss di Cinisi, che vista la sua altissima considerazione e potere all’interno di Cosa Nostra era da sempre al centro di trame ad altissimo livello. Probabilmente alcune vicende basate su verità ormai conclamate avrebbero potuto traballare, a seguito delle sue dichiarazioni. Per questo motivo, sicuramente la possibilità di un rientro di Badalamenti in Italia, per fare luce su alcuni fatti, era un’ipotesi invisa nelle più alte sfere di qualche apparato di sicurezza o di potere. Sono supposizioni, che devono però far riflettere.
La famiglia Lombardo non ha mai creduto alle tesi del suicidio. Per moglie e figli l’ipotesi dell’estremo gesto non regge sin da subito. I familiari subiranno una perquisizione “nevrotica” da parte dei carabinieri alla ricerca di documenti. Sparirà la sua borsa e anche alcune lettere scritte da Badalamenti. La dinamica dello strano suicidio non convince e porterà i legali dei Lombardo a richiedere nuove perizie e accertamenti tendenti a smontare la tesi del suicidio. La stessa lettera di addio ritrovata all’interno dell’auto, attraverso una successiva perizia calligrafica, sembrerebbe confermare essere stata scritta da altri.
La dinamica dello sparo presenta stranezze che non sembrano suffragare l’ipotesi del suicidio. La storia di questo servitore dello Stato ricalca quella di tanti altri che hanno subito la delegittimazione, l’isolamento e la successiva vulnerabilità che li ha portati alla morte. Una morte necessaria per mettere una pietra sui tanti misteri di una vicenda dove il potere mafioso si incontra con altri poteri. È il cosiddetto “terzo livello”, del quale parlò il Giudice Falcone. Una commistione d’interessi politici, economici e mafiosi. Secondo quanto affermato dal figlio Fabio, 48 ore prima di morire il padre chiamò la vedova di Paolo Borsellino, dicendole che di lì a poco le avrebbe portato “su un vassoio di argento la verità sulla morte di suo marito”. Circostanze che si sommano ad altre, e fanno fortemente dubitare sulle cause e le dinamiche della morte di un uomo al servizio delle istituzioni, che lo Stato non è riuscito a proteggere.