La mafia del latifondo, l'ascesa dei corleonesi nel dopoguerra
- Scritto da Effe_Pi
Come è nato il clan del paese nel palermitano che dagli anni '80 in poi arriverà a dominare tutta Cosa Nostra, dall'omicidio Rizzotto alla lotta contro Dalla Chiesa.
Di Serpico
A Corleone, nel dopoguerra, come in tanti altri posti in Sicilia, c’è fame e disperazione. In tanti per lasciarsi alle spalle la miseria e la sopraffazione fecero le valigie e partirono. Al nord Italia, in Germania e chi aveva dei parenti lì, persino in America. Condizioni di vita difficile nel grande e ultimo feudo d’Europa. La vita di campagna era dura, pericolosa e incerta. Chi non aveva proprietà faceva il mezzadro e il contadino. Guadagnavano giusto il tanto per vivere, il minimo sostentamento per campare. Un po' di grano per fare il pane e qualche frutto raccolto dalla generosità della terra. Terre desolate e sterminate attraversate a piedi o a dorso di un mulo. Corleone era un grande feudo, all’interno del quale i proprietari avevano potere di vita e di morte su tutti gli altri uomini senza mezzi. Una classe, quella dei proprietari terrieri, parassitaria, improduttiva e avversa ad ogni forma di rinnovamento e apertura verso un miglioramento delle condizioni di lavoro.
Le riforme erano viste come fumo negli occhi e osteggiate violentemente. È lì che nasce la mafia agraria, nel feudo, dove spesso i latifondisti vivevano più comodamente in città lasciando la loro proprietà da gestire a campieri e gabellotti. Spregiudicati e violenti esercitavano all’interno del latifondo un potere assoluto svolgendo il loro compito senza controllo vessando la popolazione più povera con intimidazioni varie, quali distruzione dei raccolti, incendi, minacce e imposizione di tangenti. I pochi contadini che avevano un po' di terra erano costretti a vendere le loro proprietà per pagare tasse e vessazioni di ogni genere. Così che i campieri e gabellotti, divenuti a loro volta proprietari terrieri, rivolsero le loro intimidazioni anche contro i nobili. Nacque appunto la mafia agricola, del latifondo, che presto si organizzerà al punto da propagarsi nei centri urbani. All’epoca dei fatti il medico di Corleone Michele Navarra era il padrone assoluto della cittadina. Uomo potente, dalle amicizie importanti, cumulò una serie di incarichi che non fecero che potenziare la sua rete di relazioni. Medico fiduciario dell’INAM e delle Ferrovie dello Stato, presidente della sezione coltivatori diretti e fiduciario del consorzio agrario. Dal 1946, dopo l’omicidio del direttore del nosocomio corleonese, Carmelo Nicolosi, per mano ignota, rivestì anche quella carica, prima come reggente e poi, dal 1948, come titolare.
Tra il 1946 e il 1948 nel territorio di Corleone sono cinquanta le persone, soprattutto contadini e braccianti, che vengono assassinate, senza che vengano trovati i colpevoli. Uno degli omicidi più eclatanti fu quello di Placido Rizzotto, segretario della Camera del lavoro ed ex partigiano. Placido era un uomo coraggioso, esortava i contadini a ribellarsi promuovendo un movimento che si opponeva ai latifondisti allo scopo far valere i diritti di chi lavorava la terra. Per la mafia era un cattivo esempio e andava fermato. A servizio di Michele Navarra c’erano i giovani Luciano Liggio, violento e prepotente che ben presto diventerà uno dei boss più influenti e temuti di Cosa Nostra. A sua volta Liggio si servirà dei giovani Totò Riina, Calogero Bagarella, Bernardo Provenzano, destinati a diventare tristemente famosi.
Nascono “i Corleonesi” che diventeranno di padroni assoluti di tutta la Sicilia a partire dagli anni ottanta. Placido Rizzotto verrà sequestrato il 10 marzo del 1948, torturato, ucciso e buttato in una foiba di Rocca Busambra, un masso roccioso che sovrasta Corleone. Ad ucciderlo Liggio, su ordine di Michele Navarra “u patri nostru”. Il caso Rizzotto però, a differenza degli altri omicidi nel Corleonese, ebbe una risonanza mediatica nel resto del Paese tale che lo Stato decise di mandare in Sicilia un giovane capitano dei carabinieri di appena 28 anni, Carlo Alberto dalla Chiesa. Appena insediatosi e con la scrivania piena di fascicoli su numeri e omicidi, focalizzò la sua attenzione sulla scomparsa e sull’omicidio di Placido Rizzotto. Ad assistere all’omicidio del sindacalista Rizzotto un giovane pastore di appena 13 anni, Giuseppe Letizia. Accudiva il bestiame proprio vicino alla foiba dove gettarono il corpo martoriato di Placido Rizzotto, e si nascose terrorizzato.
Il giorno seguente fu trovato delirante dal padre, che lo condusse all’ospedale Dei Bianchi diretto da Navarra. Lì, il ragazzo, in preda di una febbre alta, raccontò terrorizzato di un contadino che era stato assassinato nella notte. Curato con un’iniezione, morì ufficialmente per tossicosi. Dalla Chiesa venuto a conoscenza della vicenda dispose l’autopsia che in effetti rilevò l’esistenza di una bolla d’aria nelle vene del ragazzo. Ignazio dell’Aria, il medico che stilò il certificato di morte, confermò la tesi della tossicosi come causa di morte. Il dottor Dell’Aria il giorno dopo chiuse la sua casa in fretta e furia e salpò con una nave verso l’Australia, senza più tornare in Sicilia. Navarra e Liggio saranno formalmente indagati per l’omicidio Rizzotto, dandosi alla latitanza. Ma verranno poi assolti per insufficienza di prove, dopo la ritrattazione in aula di Pasquale Criscione, il vicino di casa di Rizzotto che lo consegnò ai suoi carnefici.
Luciano Liggio si affrancherà negli anni a seguire al Dottor Navarra. In contrasto con lui per la costruzione di una diga per la quale Liggio era favorevole mentre Navarra era dell’idea che avrebbe danneggiato “la mafia dei pozzi” si arriverà all’assassinio spettacolare del medico.
Il due agosto 1958 Navarra verrà ucciso in un agguato in una polverosa strada di campagna dagli uomini di Liggio. Inizierà una guerra tra Navarriani e Liggiani che seminerà di cadaveri la già martoriata Corleone. Iniziò in quel frangente l’ascesa dei Corleonesi, che non si limiteranno a conquistare a suon di lupara e mitra le loro natia terra arsa dal sole e dalla miseria ma andranno alla conquista di Palermo, della Sicilia e di tutta Cosa Nostra. Rincontreranno Dalla Chiesa nel 1982, diventato generale e nominato prefetto mandato dallo Stato nuovamente in Sicilia, dopo aver combattuto e sconfitto le Brigate Rosse. Un commando di killer mafiosi lo ucciderà il 3 settembre 1982 a Palermo in via Carini, con la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente di sorta Domenico Russo. Ma questa è un’altra storia da raccontare!
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