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Esteri: Elezioni in Spagna, da stallo a stallo

Sei mesi dopo nuovo blocco politico, vittoria dei popolari e niente sorpasso per Unidos Podemos sui socialisti. Più che la Brexit sembra aver pesato il conflitto generazionale.

Di Paolo Ardu

Da stallo a stallo. Dopo oltre sei mesi dalle elezioni del 20 dicembre dello scorso anno in Spagna si riconferma lo scenario “italiano”. Col 33% dei voti vincono i popolari di Mariano Rajoy che aumentano i propri seggi (137, +14 rispetto alle precedenti) ma non raggiungono la maggioranza. Resistono i socialisti di Pedro Sànchez, che col 22,7% conquistano 85 seggi (-5) ma perdono 110mila voti, il peggior dato per il Psoe dagli anni Ottanta. Stimato alto nei sondaggi, ha invece parzialmente deluso Unidos Podemos (Up) guidata da Pablo Iglesias e Alberto Garzon. Alla giovane coalizione elettorale tra Podemos, Izquierda unida (aggregazione composita di partiti della sinistra che da noi si direbbe “radicale”) ed Equo (partito ecologista nato nel 2011) non è riuscito il sorpasso a sinistra al Psoe. Col 21,1% ha conseguito 71 seggi (+2).

Al quarto posto Ciudadanos, il giovane partito liberale che avrebbe dovuto catturare il voto della media borghesia delusa dai partiti tradizionali, che col 13% dei voti ha perso ben 8 dei 40 seggi di dicembre. Il bis delle elezioni spagnole ha lasciato invariato il quadro politico frammentato, non scongiurando l'ipotesi di un voto-ter, una terza tornata che tecnicamente non è impossibile. E se il re Felipe VI ridarà nuovamente l'incarico a Mariano Rajoy, pur avendo accorciato la distanza dai 176 seggi della maggioranza assoluta, non sarà facile per il leader dei popolari trovare le alleanze per governare.

In questi mesi la Spagna ha continuato ad avere gli stessi problemi di disoccupazione, precariato, salari bassi, scarsa produttività, tagli a istruzione e sanità, sfratti e speculazione immobiliare, aumento di disuguaglianze e povertà, corruzione politica e instabilità istituzionale, e l'incapacità dei partiti di trovare un'alleanza ha scoraggiato gli elettori. In un Paese dove l'affluenza al voto è stata sempre molto alta, questa è la più bassa dal 1989, superiore solo a quella del 1979, le seconde elezioni dopo la morte del dittatore Franco nel 1975 e la caduta del regime.  Dopo la Brexit, il tema della democrazia diretta è entrata in campagna elettorale coi popolari e i socialisti che l'hanno utilizzata strumentalmente per screditare i giovani avversari, ricompattare il rispettivo elettorato e convincere gli indecisi, stimati al 30%. Podemos, Col 21,1% ha confermato i 71 seggi (+2) ma ha perso 1,1milioni di voti rispetto a dicembre.

Tuttavia la Brexit non ha fatto la differenza. Anche perché in Spagna non esiste un partito euroscettico come l'Ukip di Farage o il Front National lepenista. Più probabile che la paura di un referendum in Catalogna, un voto vinto e poi annullato aprendo un conflitto costituzionale, abbia ricompattato il voto moderato. L'unico elemento comune col voto britannico è certamente lo scontro tra generazioni, coi giovani orientati maggiormente a votare i nuovi partiti e gli adulti sopra i 64 anni che preferiscono quelli tradizionali. Se Unidos Podemos attrae fino ai 34 anni e soprattutto nelle città, gli abitanti dei paesini con meno di 2mila abitanti e i pensionati preferiscono il Pp.
Finito lo storico bipartidismo, travolto da diversi scandali e dal voto di dicembre, saranno nuovamente quattro i partiti chiamati a trovare un accordo post elettorale, anche con eventuali alleanze coi partitini regionali. In caso di mancato accordo potrebbe esserci l'ipotesi di affidare l'incarico ad un tecnico, forse un economista. Ma qui entriamo in un territorio sconosciuto, che però in Italia abbiamo già esplorato.

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