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Cagliari: l'archeodisastro di Santa Igia

Città mercatoDenuncia del Professor Francesco Cesare Casula: la capitale del regno medievale di Calari "abbandonata e umiliata".

Il professor Francesco Cesare Casula, professore ordinario di storia medievale dell'Università di Cagliari, denuncia l'"archeodisastro" di Santa Igia, la capitale del regno Sardo - Medievale di Calari. L'accusa arriva da un articolo pubblicato sul prossimo numero della rivista ''Archeologia Viva'' (Giunti Editore), in cui Casula denuncia come "Poche città storiche hanno subito la sorte umiliante" di Calari: inglobata dalla moderna periferia di Cagliari ma soprattutto "completamente dimenticata e distrutta da impianti industriali e  raccordi stradali''. In area mediterranea esistono tre città antiche abbattute improvvisamente per guerra o calamità naturale, con tutto il bene sotto. La prima è la Troia cantata da Omero, le cui rovine furono scoperte nel 1871 dal tedesco Heinrich Schliemann. La seconda città, del periodo romano, è Pompei, riportata in luce nel 1738, insieme a  Ercolano e a Stabia, dagli ingegneri Rocque Joaquin de Alcubierre e Karl Jakob Weber, oggi il sito archeologico più visitato al mondo. La terza, di età medievale, è Santa Igia (contrazione di Santa Cecilia), in Sardegna, alle porte di Cagliari, ''ancora completamente seppellita e ignorata da tutti: accademici, soprintendenti, amministratori e mass media'', afferma il professor Casula.


Una fiorente capitale medievale. Santa Igia era la capitale del Regno (o Giudicato) di Calari, uno dei quattro Stati sovrani della Sardegna fra il IX/X e il XIII/XV secolo (gli altri tre regni erano Arbore'a, Torres e Gallura). La città sorse a partire dal 703/704, quando gli abitanti di quella che era stata l'antica Ka'ralis punico-romana, minacciati dalle scorrerie arabe, si rifugiarono ai bordi dello stagno di Santa Gilla su un idoneo terreno rialzato, difeso naturalmente dalle paludi della zona di San Paolo, già frequentato fin dai tempi nuragici e fenicio-punici. In seguito il nuovo centro abitato divenne residenza abituale del re (in realtà, nel Medioevo, non esistevano le capitali come oggi le intendiamo perché le corti erano itineranti),  quando, fra il 900 e il 934, l'autorità di governo vi si trasferì ufficialmente.
Santa Igia si dette allora struttura cittadina con cinta muraria e castello, porto lagunare, reggia, episcopio, cattedrale e altri edifici pubblici, su un'estensione di circa venti ettari e con una popolazione stimabile in dieci-dodicimila abitanti. Questa capitale del sud della Sardegna visse quasi trecentocinquanta anni e, dopo il Mille, vide fiorire il Regno di Calari grazie allo sviluppo dei traffici, la ripresa dei rapporti religiosi con la Santa Sede di Roma, il cambio di casata regnante dai Lacon-Gunale ai Lacon-Massa, l'alleanza sempre più salda con la potente Repubblica di Genova, ma anche le estenuanti guerre coi limitrofi regni filopisani di Arborea, Torres e Gallura.

La rovina di Santa Igia fu segnata, sostiene Casula, ''dall'incauta concessione a un gruppo d'imprenditori toscani di edificare nel 1216 la roccaforte di Castel di Calari (attuale Cagliari), in seguito causa diretta dell'attacco alla stessa Santa Igia da parte di una coalizione di forze arborensi, turritane e galluresi in funzione degli interessi pisani''. Dopo un breve assedio - malgrado i preliminari di resa stipulati il 26 luglio 1257 che prevedevano la demolizione delle sole fortificazioni - la città fu totalmente distrutta, e con lei terminò il plurisecolare Regno di Calari. ''Sulle rovine fu sparso il sale. Poi, il tempo l'ha nascosta, e di essa è rimasto appena il ricordo, tant'è che nella seconda metà del XX secolo vi hanno costruito sopra il mattatoio e le poste di via Brenta e via Simeto, nonché tutto il complesso commerciale della Città Mercato'', denuncia ancora Francesco Cesare Casula. Quando agli inizi degli anni Ottanta ''il Casic (Consorzio per l'Area di Sviluppo Industriale di Cagliari) progettò di far passare, nel poco terreno ancora sgombro, una strada sopraelevata per ricongiungersi con la statale per Iglesias'', il professor Casula protestò ''sui giornali locali, alla televisione e in sede politica presso la Regione Autonoma''; organizzo' sit-in di studenti, perfino un congresso, i cui atti furono pubblicati (1983) in un grosso volume intitolato ''S. Igia, capitale giudicale''. Un inestimabile bene archeologico da salvare alle porte di Cagliari. Ma fu tutto inutile. Le foto delle fosse all'epoca scavate dalle ruspe per collocare i plinti della sopraelevata mostrano lo scempio perpetrato sui resti della capitale sepolta. E per finire, "una grande distesa d'asfalto, versato nottetempo alla luce delle fotoelettriche'', conclude il professor Casula che sulla rivista pubblica fotografie che ritiene eloquenti dell'''archeodisastro''.

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