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Con Adele alla scoperta della sua vita

Vita di AdeleIl film vincitore del Festival di Cannes ha una fama scandalosa ma è un apologo sul passaggio all'età adulta.

Film scandaloso porno - lesbo o apologo sul passaggio dall'adolescenza all'età adulta tramite la scoperta del sesso, di altri stili di vita e di una realtà molto diversa da quella immaginata? E' decisamente la seconda la definizione che descrive meglio il film "la vita di Adele", vincitore del Festival di Cannes 2013 e da qualche giorno nelle sale italiane. Il lungometraggio di Abdel Kechiche è infatti la storia, lunga (tre ore), dettagliata e piena di particolari unversali, di una formazione: quella della giovanissima liceale Adele (Adèle Exarchopoulos), che venendo da una realtà di vedute abbastanza ristrette che le va stretta già a 15 anni, trova la sua personalissima via d'uscita nella fascinosa studentessa d'arte omosessuale Emma (Léa Seydoux), che la introduce al piacere che i giovani maschi non erano riusciti a darle e la ama, ricambiata, portandola allo stesso tempo dentro un mondo profondo e fatuo come quello dell'arte, della borghesia radicale e un po' snob, che vive appieno diventando addirittura la modella per i quadri della compagna. Un mondo che la accoglie ma al tempo stesso la respinge, chiedendosi come mai sogni ostinatamente di diventare maestra d'asilo e non abbia l'ambizione di scrivere o comunque di "realizzarsi", accettandone completamente le regole: Adele sarà così spinta a tornare verso le idee della propria famiglia, che considera l'arte poco più di un passatempo, da prendere sul serio solo se si è ricchi o si ha qualcuno da cui essere mantenuti.

Fin qui, temi abbastanza comuni e si potrebbe dire perfino scontati: ma la forza del film di Kechiche non è tanto nell'intreccio, che pure a tratti diventa appassionante, e nemmeno nelle metafore che anzi a volte risultano perfino scontate: spaghetti al ragù per i genitori piccolo borghesi dell'affamatissima (di cibo e di vita) Adele, ostriche per la famiglia chic di Emma, con la doppia allusione alla differenza sociale e a quella sessuale. La potenza di questo racconto sta invece nelle sue interpreti e nella messinscena: a vedere Adele ed Emma spesso si stenta a credere che fingano, e soprattutto quando è in scena la prima a tratti non si riesce ad evitare la sensazione che si tratti di un lavoro documentaristico. L'intimità tra le due ragazze è descritta perfettamente, dalla nascita fino al suo spezzarsi, che lascia Adele disperata ma la proietta nel mondo degli adulti, di coloro che possono davvero scegliere senza andare a tentoni, come fa lei nel finale quando "evita" di creare la situazione per un rapporto con il bell'attore rivisto dopo tanto tempo, anche lui in fase di "uscita" da un mondo che evidentemente non è suo.

La straordinaria intensità delle due attrici protagoniste fa da detonatore per il film intero, che come detto conta anche su una notevole capacità di messinscena del regista: così i baci, i litigi, le tenerezze, gli scontri e soprattutto il sesso, che ha garantito grande visibilità alla storia ma di sicuro non rappresenta il centro del racconto, vengono descritti in una maniera visivamente potente e coerente, che esclude tutto ciò che non gli serve senza dare spiegazioni, arrivando a far provare quella sensazione fortissima di vedere la realtà, che tale non potrebbe essere, anche a causa delle inevitabili scelte del regista. Così Kechiche ci mostra a lungo i rapporti sessuali delle due giovani, che scatenano in sala risolini d'imbarazzo fastidiosi ma in fondo comprensibili (le stesse attrici hanno ammesso il loro disagio senza risparmiare qualche stoccata polemica al regista), oppure un pasto in tutte le sue fasi, ma non si fa nessun problema ad escludere pezzi interi della vita dei protagonisti, o a farli sparire definitivamente dal racconto (come succede alla famiglia di Adele nel "capitolo" 2 del film). Insomma, un mezzo capolavoro imperfetto ma da vedere senz'altro, per ammirare due grandi attrici e un regista straordinario soprattutto nel dirigerle, oltre che per avere conferma di quanto scritto da Joseph Conrad, secondo cui "si vive come si sogna: perfettamente soli". E a volte non è detto che sia un male, per riuscire a crescere e liberarsi.

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