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La rivolta di boss e affiliati nel carcere di Massama a Oristano

Boss e affiliati che scontano la pena nel carcere di Massama da due settimane portano avanti una lotta che ha attirato l’attenzione anche del garante nazionale dei detenuti.

da La Stampa | di Nicola Pinna

Una lettera con 234 firme e una protesta molto rumorosa. Boss e affiliati che scontano la pena nel carcere di Massama, in Sardegna, da due settimane portano avanti una lotta che ha attirato l’attenzione anche del garante nazionale dei detenuti.

Nella casa circondariale alla periferia di Oristano ci sono quasi 300 reclusi, quasi tutti arrivano da Sicilia, Campania, Calabria e Puglia. Una cinquantina sono ergastolani, gli altri sono stati condannati per reati legati alla criminalità organizzata. Per loro c’è una struttura specifica, ad alta sicurezza, e ora che le celle si sono riempite i detenuti hanno fatto scattare la protesta.

Ogni giorno, di buon mattino e fino a notte fonda, battono pentole, piatti e forchette contro le sbarre. Fischiano e urlano. Nelle campagne circostanti c’è sempre silenzio e il loro grido arriva molto lontano. Il baccano, questa mattina, ha accolto anche il Garante dei nazionale dei diritti dei detenuti, Mauro Palma. La situazione rischia di esplodere e per questo il funzionario ministeriale ha avviato una mediazione per cercare di riportare la calma dentro il carcere.

In una lunga lettera i detenuti denunciano il sovraffollamento delle celle ma allo stesso tempo chiedono che gli orari dei colloqui siano modificati e che gli incontri con i parenti si possano svolgere anche via web. Ma il direttore Pierluigi Farci ribatte: «Il vero motivo della protesta è che qui non vogliono stare, vorrebbero tornare nelle loro città».

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