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Sì o No: cambia qualcosa per la Sardegna?

Ultimi fuochi di campagna elettorale, nell’isola i sostenitori del No attaccano su riduzione dell’autonomia e assenza dei senatori, ma i pareri sono discordanti.

Ultime ore di campagna elettorale, anche in Sardegna, in vista del referendum costituzionale di domenica. Ma cosa comporterebbe la vittoria del Sì per le istituzioni e la politica sarda? Uno degli argomenti più utilizzati di questa campagna elettorale, specie nell’isola, è stato che nel caso di conferma della riforma alle urne l’autonomia e il potere decisionale dei territori sarebbero molto ridotti se non cancellati, e su questo c’è chi ha addirittura azzardato un’analisi fantapolitica di un futuro in cui, dopo la vittoria del Sì, il governatore sardo sarebbe impossibilitato ad opporsi alla creazione del deposito nucleare permanente ad Ottana. IteNovas.com ha già scritto più volte sull’argomento, spiegando perché la Sardegna non dovrebbe essere (stando ai criteri dell’ISPRA) la regione ideale dove costruire questa struttura, ma la prospettiva in ogni caso fa paura; è proprio così che andrebbe?

Meno o più autonomia? Ecco la verità

È quello che pensano gli oppositori sardi della riforma Boschi, tra cui gran parte del mondo indipendentista e sovranista (da Libe.r.u. al Partito dei Sardi), e che sostiene anche l’ex governatore Mauro Pili, che col suo movimento Unidos ha organizzato nei giorni scorsi una vera e propria “marcia” coi trattori per il No il 4 dicembre: Pili sostiene che si tratta di "dire no alle imposizioni di Stato", e ha aggiunto che “Questi trattori che arano e seminano sono i nostri carri armati per difendere la Sardegna, oggi hanno collegato idealmente coloro che vogliono reagire e fermare le imposizioni di Stato. Con questa sottospecie di riforma costituzionale il governo potrà imporre alla Sardegna scorie nucleari e speculazioni energetiche della peggior specie, dalle distese di pannelli solari a inceneritori. Con la clausola di supremazia nazionale la già flebile specialità della Sardegna sarà cancellata per sempre".
In realtà, come spesso accade in Italia, non sembrano esserci certezze in proposito, anzi: oltre alla stessa Boschi e a Pigliaru con gli altri governatori a statuto speciale, che sono di parte, a sostenere la tesi opposta a quella di Pili ci sono anche diversi sostenitori del No. Ad esempio, il governatore del Veneto Luca Zaia (Lega Nord), il quale ha sostenuto pubblicamente che alle Regioni a Statuto speciale “conviene votare Sì perché se passerà la riforma non si potranno più mettere in discussione le loro competenze, quindi non si potrà diminuire la loro autonomia, a meno di un esplicito consenso di chi le governa”
Da una posizione politica opposta, sulle colonne della rivista Internazionale, dice la stessa cosa lo scrittore Cristian Raimo, che in un lungo pezzo schierato (anche se non in maniera esplicita) per il No, cita il costituzionalista Ainis, scrivendo che nella riforma “il ridimensionamento dei poteri regionali (la parte sul titolo quinto) lascia fuori le autonomie regionali, che anzi – in virtù di una legge del 2015 che impedisce di legiferare sulle regioni a statuto speciale senza il consenso delle stesse – uscirebbero ulteriormente rafforzate da questa riforma costituzionale, in un paradosso per cui le leggi delle province autonome di Trento o di Bolzano conterebbero più della costituzione italiana”.

Niente senatori sardi? E intanto sindaci contro i tagli

Più fondata (almeno al momento) sembra invece essere l’obiezione di chi dice che se vince il Sì la Sardegna potrebbe non avere senatori nel nuovo Palazzo Madama: per la precisione non ne potrebbe avere tra i suoi consiglieri regionali, visto che lo statuto speciale di Sardegna e Sicilia prevede l’incompatibilità tra la carica di Consigliere Regionale e quella di parlamentare. Un’obiezione importante, che però non riguarderebbe i sindaci sardi (altra categoria che entrerebbe nel nuovo Senato) e che potrebbe essere risolta con modifiche allo Statuto regionale, sempre che il 5 dicembre ce ne sia ancora bisogno.
I sindaci sardi sono gli stessi che invece protestano per il taglio, in alcuni casi anche del 60%, delle spese elettorali sostenute dai Comuni, con esclusione di quelle per i componenti del seggio. La protesta è scoppiata dopo la comunicazione delle Prefetture che annunciava i tagli, in esecuzione di una disposizione del ministero dell'Interno, a tre giorni dal voto per il referendum. Una situazione, secondo il presidente dell’Anci Sardegna, Pier Sandro Scano, che “rischia di colpire i dipendenti comunali e le operazioni di gestione del voto di domenica 4 dicembre".

Foto Niccolò Caranti su Flickr

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