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La Sardegna che ha bisogno dei Savoia - 2 -

La seconda parte del nostro articolo su Sardegna e Savoia: analisi sull'importanza attribuita agli ex regnanti nell'isola, responsabili di alcune delle pagine più nere nella storia sarda.

Di Enrico Lecca

Oltre a Carlo Felice abbiamo altri esempi di membri della famiglia Savoia che in Sardegna godono di onori immeritatissimi. Per esempio quante “Via Vittorio Emanuele II” esistono? Quante “Via Umberto I”? Quante “Via Vittorio Emanuele III”? Tutti uomini che con il nostro caro Carlo Felice condividevano una profonda ignoranza, un’indiscussa ottusità di pensiero e un sentimento di intolleranza verso quell’isola barbara che sempre hanno disprezzato. Ad onor del vero, altre vie portano i nomi dei patrioti sardi che morirono sulle forche, che vennero torturati e trucidati nel nome dei signori di cui sopra. Il problema è che queste vie sono sempre stradine secondarie, di scarsa importanza. Perché i sardi devono celebrare i Savoia? Perché permettere che le nostre strade e piazze vengano insudiciate con i loro nomi? Cosa deve il popolo sardo a questi personaggi? Si sono resi protagonisti e responsabili della pagina più buia e triste della nostra storia, altroché Medioevo!

Abbiamo avuto una storia intensa, ricca di personaggi che si sono distinti per aver amato davvero questa terra, al punto di sacrificare la propria vita per difenderla, liberarla, fare della Sardegna un posto migliore. Si potrebbero sostituire quei nomi tanto odiosi con altri nomi, di persone più meritevoli. Ma non si pensi che questa proposta sia un tentativo di cancellare dalla memoria dei sardi i Savoia. No, no di certo. Il passaggio dei Savoia in Sardegna non deve essere dimenticato, perché si sa, la storia insegna a non ripetere gli stessi errori. Non si devono dimenticare, quindi, ma ancor meno bisogna celebrarli come padri della patria. Dunque non più strade e vie principali, niente piazze, niente monumenti nei centri storici delle nostre città. Non si meritavano onori e rispetto quando cingevano la corona di Re di Sardegna, tanto meno si meritano onori e rispetto dalle attuali generazioni, che hanno tutti gli strumenti per valutarne l'operato.

Ci sarà senz'altro qualcuno tra i lettori che obietterà sulla scarsa importanza o la non-urgenza di modificare nomi di vie e piazze, vista la difficile situazione economica e sociale in cui versa l'Isola. Alcuni diranno: “i problemi sono ben altri”, aggiungendo “è solo uno spreco di soldi che genererà confusione”. I problemi della Sardegna li conosciamo benissimo, anzi si può tranquillamente dire che sono sempre gli stessi. Basta guardare un telegiornale di 20-30 anni fa per rendersi conto di come cambiano i nomi, cambiano i modi di vestire, ma sempre di crisi, scioperi, vertenze, licenziamenti, fallimenti, esercitazioni militari si parla. 

Ma la matrice di questi problemi risale a un passato più remoto, esattamente a quando i sardi hanno elevato a verità assoluta una storiella, una leggenda metropolitana. Questa storiella, che quasi tutti i sardi hanno accettato e ripetono pedissequamente ogni qualvolta si presenta l'occasione, dice che i sardi non sono in grado di decidere per sé stessi perché sono profondamente disuniti e dunque hanno bisogno che arrivi qualcuno a fare il loro bene. È una storiella che viene ripetuta continuamente, da anni e anni, da sardi e non sardi, impossibile non aver mai sentito qualcuno recitarla. Al bar, al market, alle poste, alla Asl, in Piazza di chiesa, in Tv, sul giornale troviamo sempre qualcuno che ce la ripete dandosi l'aria di chi la sa lunga, convinto di dispensare perle di saggezza. In realtà, è una fantasia che abbiamo trasformato in verità. I sardi non sono più uniti o disuniti di qualsiasi altro popolo, niente nel nostro DNA ci fa migliori o peggiori rispetto agli altri. La cosa più importante è dunque rendersi conto di aver creduto ad una frottola, ce la siamo bevuta insomma. Come quando un amico ci fa uno scherzo e scambiamo per reale qualcosa che non lo è. Quando lo scherzo finisce ci facciamo una risata perché realizziamo che non era reale, e tante volte pensiamo che stupidi, avremmo potuto capirlo dal principio che si trattava di uno scherzo!

Ecco, continuando a celebrare personaggi come i Savoia noi Sardi dimostriamo di non distinguere lo scherzo dalla realtà, o meglio dimostriamo di non essere consapevoli di noi stessi. Siamo dei sudditi impauriti che invocano l'aiuto del Re quando le cose non vanno come dovrebbero, oppure vogliamo essere un popolo fiero, indipendente, con una storia millenaria alle spalle? Nessuno risolverà i nostri problemi al posto nostro. Non verrà nessun ministro, nessun miliardario straniero, nessun Capo di Stato a tirarci fuori dai guai. L'unica strada è imparare ad essere consapevoli di noi stessi, noi dobbiamo risolvere i problemi della Sardegna. Cambiare il nome delle strade può essere il principio o la logica conseguenza di una nuova interpretazione di noi stessi, una consapevolezza ritrovata. In alcune parti dell'Isola questo processo è già partito, grazie all'opera di amministratori, imprenditori e intellettuali che hanno una visione moderna della Sardegna. La strada verso l'autodeterminazione è lunga, va percorsa con pazienza e affrontata con coraggio. Eliminare gli ingombranti Savoia dal cammino ci avvicina di un passo alla meta.

(... qui la prima parte)

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