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Peppino Impastato, antimafia e Sangue pazzo

Una delle più note storie d'antimafia quella del giovane attivista di Cinisi fatto assassinare dal Boss Badalamenti per la sua opposizione a Cosa Nostra.

Di Serpico

Sono tante le storie di mafia da raccontare, cosi come sono tante, di riflesso, le storie di antimafia. C’è chi ha lottato contro la mafia attraverso il fiuto dell’investigatore, come Boris Giuliano, chi applicando la legge come il giudice Falcone, chi con il Vangelo in mano come Don Puglisi e chi con la penna in mano, come Beppe Alfano.

Peppino Impastato invece si opporrà alla mafia, nella sua breve esistenza, attraverso il suo impegno politico e civile.
La sua è una storia emblematica e unica.
Una storia di lotta e di speranza.
Peppino nasce a Cinisi, non lontano da Palermo, nel 1948.
Proviene da una famiglia mafiosa. Gli Impastato sono organici alla cosca alla potente mafia di Cinisi inserita a pieno titolo nella mappa del potere mafioso del periodo.
Il boss è Cesare Manzella, zio di Peppino perché sposato con una Impastato, sorella del padre.
Manzella rappresenta la mafia agricola, apparentemente innocua e sonnolenta, che inizia a mettere le mani sulla città per trasformarsi in mafia urbana.
Cesare Manzella è un boss temuto e rispettato.
Cinisi, è un centro nevralgico per gli affari perché nel suo territorio ricade l’aeroporto di Punta Raisi, fortemente voluto dai boss locali.
Tuttavia, per effetto delle cicliche riorganizzazioni degli assetti mafiosi, Cesare Manzella viene falciato con un’auto imbottita di tritolo nel 1963. Il nuovo padrone di Cinisi diventerà Gaetano Badalamenti.
Dell’omicidio cruento dello zio Cesare, Peppino ne rimane profondamente colpito e turbato. Inizia a porsi degli interrogativi e pone delle domande sempre più incalzati agli adulti. Le risposte spesso sono sguardi e silenzi profondi.
Il mondo nel quale avevano vissuto lui e la sua famiglia sino a quel momento gli sembra ora sconosciuto e inquietante.

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Peppino è sveglio ed acuto. Presto si rende conto di chi tiene le leve del potere in paese, sa bene che tipo di famiglia è la sua e quali siano le frequentazioni del padre, che gestisce una pizzeria a Cinisi.
In quel momento, alla morte di Manzella, Peppino decide che la sua vita sarà dedicata a combattere questo cancro che molti, seppure timidamente, chiamano mafia.
Diventa un militante della sinistra, siamo negli anni della contestazione, anche se a Cinisi arrivano solo gli echi lontani da città come Milano, Torino e Roma.
Eppure, intorno ad un gruppo di amici e compagni, si crea a Cinisi un laboratorio di idee, di impegno culturale, sociale e politico, volto a denunciare i misfatti della mafia, volti a scardinare quel sistema di valori degenerati che condizionano la vita di tante persone.
Peppino fonda un giornalino, “L’Idea Socialista” dove firma articoli infuocati che denunciano malaffari e prepotenze. Ha coraggio da vendere ed è sfrontato al punto che non disdegna di fare nomi e cognomi!
Partecipa alle lotte contadine, a quelle degli edili e dei proprietari dei terreni espropriati per la costruzione della terza pista dell’aeroporto.

A casa Impastato intanto, il clima è teso.
Sono sempre più frequenti e furiose le liti con il padre Luigi, a stento contenute dalla mamma Felicia.
Sbeffeggia i boss locali e il suo bersaglio preferito non poteva che essere Gaetano Badalamenti.
Tano seduto, esperto di lupara e traffico di eroina”

Peppino e i compagni fondano una radio privata autofinanziata, Radio Aut che quotidianamente ridicolizza la mafia locale, denunciandone le malefatte e i loschi affari. La sua forza è l’ironia, lo spirito di coinvolgimento e la perseveranza nell’attività che è totalizzante e febbrile.

Peppino sta esagerando, per il padre la misura è colma anche alla luce della sua imbarazzante posizione nei confronti dei suoi “amici”.
Lo caccia di casa.. !
Ed è molto preoccupato per il clima che si respira in un paese come Cinisi quando qualcuno osa mettersi di traverso al potere delle consorterie mafiose. Percepisce che il figlio “che se la fa con i comunisti” corra seri rischi!

Luigi Impastato parte, senza informare nessuno, per gli States, dove risiedono dei parenti, in cerca di aiuto.
Garantisce per il figlio, cerca di far arrivare il messaggio per rassicurare i Badalamenti. Cerca di intercedere per salvare al vita a Peppino. Chiede garanzie affinché non succeda nulla di male al figlio ma minaccia e tuona con un parente “prima di toccare Peppino devono passare sul mio cadavere”
Nel 1977, dopo poco tempo dal suo rientro dal viaggio dagli Stati Uniti, Luigi Impastato morirà investito da un’auto in un misterioso incidente.

Peppino si candida al consiglio comunale di Cinisi nelle liste di Democrazia Proletaria.
Ai mafiosi, in combutta con amministratori corrotti e accondiscendenti ai voleri delle cosche, Peppino vuole combatterli e “marcare stretti” in aula, una volta eletto.
E’ la resa dei conti e per la mafia i conti si regolano solo ad una maniera.
Durante la campagna elettorale, la notte tra l’otto e il nove maggio del 1978, Peppino verrà prelevato da un squadraccia di killer e brutalmente assassinato.
Il suo corpo, legato ai binari della ferrovia imbottito di tritolo verrà fatto esplodere.

“Questo non è mio figlio! Me l’hanno fatto a pezzettini!” dirà la madre di fronte alla bara.

Seppure palese, per amici e familiari, l’omicidio ad opera di mafiosi, sin dai primi istanti dal rinvenimento del cadavere di Peppino, la tesi prevalente per carabinieri, magistratura e stampa sarà quella che descriverà Peppino come un estremista, un esaltato, morto nel tentativo di compiere un attentato con dell’esplosivo nei binari della ferrovia.

Vergognosi depistaggi, tristemente utilizzati nel nostro Paese, per nascondere ed ostacolare la ricerca della verità e della giustizia.

Solamente dopo anni di oblio, rinvii e nuove inchieste e processi, Badalamenti verrà processato e condannato per l’omicidio di Peppino.

Durante un’udienza del processo, la madre di Peppino puntò il dito contro Tano Badalamenti collegato in videoconferenza da un carcere USA.
“Tu hai ucciso mio figlio!”
Di fronte a quella frase pronunciata da questa donnina minuta, curva su se stessa e lacerata dal dolore, Badalamenti sembra perdere la sua baldanza da mafioso e il suo ghigno beffardo. Abbassa lo sguardo di fronte a Felicia!
Ha gli occhi lucidi e non riesce a parlare.
Che possa essere intrepretato come un pentimento del vecchio boss?
La famiglia e i suoi compagni, da quel drammatico maggio del ’78, lottano infaticabili affinché Peppino, le sue idee e la sua storia, possano essere raccontate e lasciate in eredità alle generazioni future.

Foto | Valentina Mignano su Flickr

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