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L’Umbria e le sue elezioni regionali immaginarie

L’incredibile risultato, il peso della partita nazionale, la debacle inattesa della sinistra e dei 5 Stelle. Ma è proprio così? Una nostra analisi con qualche sorpresa.

Le elezioni regionali in Umbria, primo test elettorale dopo la caduta del governo Conte 1 con la Lega e Salvini agli Interni e la nascita del Conte 2 col Pd, hanno parlato chiaro: trionfo della destra con la candidata leghista Tesei oltre il 57% e l’avversario “civico” Bianconi al 37. In una regione governata dalla sinistra ininterrottamente dal 1970. Detta così, un risultato clamoroso ed effettivamente con una valenza che sembra andare oltre il dato locale, considerato anche lo schieramento di leader nazionali che si sono presentati a più riprese in Umbria, da Salvini al premier, da Di Maio a Zingaretti fino a Berlusconi.

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In realtà, le cose non stanno esattamente così, il risultato dell’Umbria era ampiamente previsto e prevedibile da molto prima che nascesse il Conte bis e che scendessero come lanzichenecchi i sopracitati “leader” nazionali. Il perché è scritto nei dati e nella storia umbra, peraltro simile a quella di altri territori come la Sardegna: la classe operaia residuale in una terra di ex grandi industrie oggi quasi tutte chiuse o duramente ridimensionate dal mercato vive spesso di assistenza ed è a sua volta stata precarizzata – le acciaierie di Terni ormai sono piene di lavoratori interinali – impoverita, considera la sinistra una controparte quasi superflua, non più in grado di garantire lavoro e difesa dei livelli di reddito, ed è incline ad odiare un diverso che come spesso anche nell’isola è più immaginario che reale, visti i bassi livelli di presenza di migranti sul territorio umbro, ben lontani da quelli delle grandi città.

Impoveriti sono anche agricoltori e allevatori, e poi c’è chi vive nelle zone terremotate, dove una burocrazia kafkiana impedisce tra l’altro di riaprire interi centri storici di pregio per uno o due edifici pericolanti, ma in generale l’Umbria non è una regione povera. Anzi, sembra che il livello di benessere diffuso, che a guardarsi intorno è alto, induca molti a voler difendere quel livello di ricchezza – raggiunto con le politiche locali della sinistra – attraverso la destra, senza doverlo dividere con immigrati o altre zone d’Italia più bisognose. Il reddito di cittadinanza – ad esempio – da queste parti non è visto di buon occhio, e nemmeno l’accoglienza, per cui un tempo la terra di San Francesco era nota: in uno dei centri considerati “modello” di integrazione, Attigliano, la Lega ha preso il 64% e anche la chiesa, che qui conta sia sui frati francescani che sul presidente della Cei, cardinale Bassetti, ha rifiutato di schierarsi esplicitamente o spendere una candidatura che a un certo punto sembrava quasi sicura, nonostante veda Salvini e company come fumo negli occhi.   

Adesso poi sembra che questa vittoria sia merito del mese di campagna elettorale permanente di Salvini e Meloni, che hanno oscurato una candidata che come quello vincitore in Sardegna sembra di basso profilo, nonostante la sua esperienza amministrativa a Montefalco. In realtà quasi tutti gli analisti più o meno improvvisati fanno finta di dimenticare che in Umbria si vota un anno prima della scadenza perché uno scandalo nella sanità ha coinvolto la presidente della giunta Dem e il segretario del Pd, entrambi renziani o ex, e che è praticamente dal 2015, anno in cui il centrosinistra vinse le regionali per un pugno di voti, che qui tutte le elezioni le ha vinte la destra. Destra che governa da anni le principali città della regione, da Perugia a Terni, fino a Spoleto, Todi e ha conquistato di recente anche Foligno, e che ha stravinto le ultime europee, praticamente con risultati analoghi a quelli di ieri. Insomma, il risultato è basato in gran parte su aspetti locali e viene da lontano, al contrario di quello che vi raccontano oggi grandi media e politici di varia estrazione, secondo cui dipende dai super comizi di Salvini e dal fatto che gli italiani odiano l’attuale governo.

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