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Referendum 17 aprile: 4 temi per andare a votare informati

Il referendum di domenica prossima sarà a suo modo storico: un successo delle Regioni che restituisce la decisione ai cittadini su un argomento molto dibattuto.

Una consultazione storica, perché non richiesto con una raccolta firme di comitati di cittadini ma, per la prima volta nella storia della Repubblica, da 9 Regioni (Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise). Originariamente era composto da 6 quesiti, ma la valutazione della Corte Costituzionale ne ha accolto solo uno. I cinque quesiti saltati puntavano a restituire agli enti locali un ruolo rilevante nelle decisioni sullo sfruttamento di gas e petrolio, che però la legge Sblocca Italia del governo ha ridimensionato. Modifiche alla legge che hanno restituito alle Regioni il potere originario.

Essendo abrogativo, votando Sì o No si intende cancellare o meno una parte della legge che permette alle compagnie petrolifere che hanno ottenuto le concessioni per estrarre petrolio e gas da piattaforme in mare, entro le 12 miglia dalla costa (22 km), di rinnovare o meno le attività fino alla data di scadenza della concessione (30 anni). Una concessione che, generalmente, è prorogata fino all'esaurimento del giacimento.

Il referendum, quindi, non riguarda nuove trivellazioni (già vietate per legge entro le 12 miglia), ma indica se permettere o meno agli impianti esistenti di continuare a operare fino a che i giacimenti non siano esauriti. Tuttavia, indirettamente, il voto costituisce un'indicazione sulla politica energetica del Paese che possiamo sintetizzare così: gli italiani intendono continuare a sfruttare le fonti fossili o iniziare una più decisa conversione verso le energie rinnovabili?

Di recente il Ministero dello Sviluppo economico (Mise) ha rigettato 27 richieste, di cui 19 parzialmente, “di permesso di prospezione, di permesso di ricerca e di concessione di coltivazione di idrocarburi” in mare, entro le 12 miglia. Sono invece permesse quelle oltre le 12 miglia. La materia è complessa e diversi sono i temi e gli interessi in gioco. Non solo la tutela dell'ambiente, ma anche quella di settori importanti come il turismo e il comparto agroalimentare.  

Turismo, agroalimentare ed attività estrattive. Lavoro e ricchezza a confronto

Parliamo dei posti di lavoro, per esempio. Secondo le stime del World Travel and Tourism Council (WTTC) nell'economia italiana il 17% dei lavoratori trova occupazione nel turismo (11,4) e nell'agricoltura (5,6 per cento) mentre le attività estrattive (petrolio, gas, carbone, metalli e relativi servizi) occupano lo 0,3 per cento dei lavoratori. Sul Sole24Ore, Leonardo Maugeri, ex manager Eni e ora professore ad Harvard, ha scritto che “è alquanto dubbio” che si possano creare “25mila nuovi posti stabili”, secondo le stime fatte da Assomineraria. “Gran parte dei siti produttivi si controllano con poche persone, in molti casi da postazioni remote”.

Se la ricchezza prodotta in Italia dal turismo (col 10,1) è due volte quella dell'agricoltura (4,2%), insieme “pesano” per 307 miliardi di dollari (dati 2014, ai prezzi correnti) costituendo il 14,3% del Pil nazionale, contro i 15 miliardi delle attività estrattive (lo 0,3% del Pil). Tra dirette, indirette e collegate alla spesa dei redditi nelle economie locali, le buste paga sono 3.813.000, con il turismo (2.553.000) che doppia l'agricoltura (1.261.000), a fronte delle 64mila relative all'impiego nelle attività estrattive. C'è però chi dice che le trivelle e il turismo possano convivere. Gran parte delle piattaforme in mare si trovano nell'Adriatico, a largo delle coste romagnole, e la regione Emilia Romagna è leader del turismo, insieme a Lazio, Lombardia, Veneto e Toscana (Sole24Ore, dati 2015).

Fabbisogno energetico, consumi e produzione in Italia. Qualche numero

I dati del 2014 dicono che il fabbisogno energetico si è ridotto (-3,8%) raggiungendo “il livello più basso negli ultimi 18 anni”, sia per la contrazione del Pil sia, in parte maggiore, per la riconversione dei settori produttivi e per l'aumento dell'efficienza energetica. Per coprire la domanda consumiamo il 34,4% di petrolio, il 30,5 di gas, il 21,5 di fonti rinnovabili e l'8,1 di combustibili solidi. E le trivelle entro le 12 miglia contribuirebbero “a soddisfare fra il 3 e il 4 per cento dei consumi di gas e l’1 per cento di quelli di petrolio”. Eppure la domanda stagna e le imprese italiane chiedono meno energia. Infatti nel decennio 2003-2014 il loro fabbisogno è diminuito di un terzo e “la sua incidenza sul totale dell’energia consumata è diminuita di quasi sei punti percentuali”.

Secondo il Mise, la maggior parte dell'energia (circa l'86%) viene importata dall'estero, il restante prodotta sul territorio nazionale. Della produzione totale però il 73,5 viene da fonti rinnovabili (in crescita rispetto al 2013) mentre da petrolio e gas vengono, rispettivamente, il 12,8 e il 13 per cento. I critici sostengono che fermare le produzioni di gas e petrolio, porterebbe l’Italia ad aumentare le importazioni da altri Stati che, come Egitto, Libia o Tunisia, perforano nello stesso Mediterraneo. Per Assomineraria l’attività estrattiva di idrocarburi garantisce un'occupazione di 13mila unità e copre circa il 12% dei fabbisogni nazionali di gas naturale e oltre il 10% di quelli di petrolio, con un fatturato complessivo di oltre 5,5 miliardi di euro (dati 2014).

Piattaforme e royalties: pochi incassi pubblici

Sono 95 i pozzi di estrazione offshore, principalmente basati nell'Adriatico. E le concessioni date più recentemente potrebbero vederne di nuovi a largo delle isole Tremiti, tra Puglia e Molise. Altri progetti, invece, pare siano sfumati (quello della Shell per il petrolio nello Ionio, per esempio).

Da quelli situati entro le 12 miglia si estrae soprattutto metano. Le piattaforme in mare hanno contribuito al 28,1% della produzione nazionale di gas e al 10% di quella petrolifera. Tutte le estrazioni, sia su mare che in terra, nel 2015 hanno prodotto un gettito da royalties pari a 352 milioni, in calo rispetto al 2014 e al 2013, rispettivamente di 402 e 420 milioni. La quota delle piattaforme entro le 12 miglia è stata nel 2015 di circa 38 milioni di euro. Perciò, qualora vincesse il Si, “la perdita per le casse pubbliche non sarebbe dunque rilevante”, scrive l'Espresso.

Il peso del fisco è tra i più alti d'Europa sia sul gas (insieme alla Francia, per le classi più basse di consumo) che sul petrolio (l'aliquota più alta dopo la Danimarca). “Ad oggi, nel caso del petrolio” – secondo Greenpeace – col sistema delle franchigie, ovvero dell'esenzione dal pagamento delle royalties sotto una soglia minima di produzione (50mila tonnellate), “le compagnie non versano un centesimo di royalties”.

Il referendum non coinvolge: prevale il Si ma il quorum è lontano 

L'istituto di ricerca Demopolis ha sondato gli italiani sul tema del referendum. Se un italiano su quattro è a conoscenza del referendum e intende votare Si, c'è un 41% che "Ne ho sentito parlare ma non sapevo fosse il 17 aprile". Le motivazioni di chi vota Si sono la salvaguardia delle coste "da qualsiasi rischio ambientale" (66%) mentre teme "possibili danni per il turismo, ritenuto fondamentale per lo sviluppo del Paese" il 43% degli intervistati. Assomineraria certifica che le piattaforme in mare sono a rischio ambientale zero, come le perdite registrate nel biennio 2012-2014, e dedica molte pagine nel raccontare di prevenzione e gestione dei rischi ambientali. Chi intende votare No, invece, ritiene più importante sfruttare le risorse petrolifere (45%) e tutelare i posti di lavoro (31%). Risorse scarse e pochi posti di lavoro che, come documentato sopra, potrebbero crescere grazie a fonti rinnovabili, turismo e agroalimentare.

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