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Le trivelle, il Referendum e il gioco del silenzio

Il Referendum  è passato finora inosservato, ma è un fatto importante che deciderà il futuro  energetico del Paese: siamo preparati all'appuntamento del 17 Aprile?

Di Enrico Lecca

Il 17 Aprile prossimo si terrà il cosiddetto “referendum sulle trivelle”. Si tratta di un referendum abrogativo nel quale ci verrà chiesto di cancellare una norma dello stato. Più precisamente, si chiederà se siamo favorevoli o meno a  cancellare la norma che consente alle società petrolifere di cercare ed estrarre gas e petrolio entro le 12 miglia marine dalle coste italiane senza limiti di tempo. Oggi non è più possibile per le società petrolifere trivellare entro il limite delle 12 miglia, dunque si tratta di vecchie concessioni degli anni settanta, alcune già prorogate e in scadenza nei prossimi anni. La norma che si chiede di abrogare prevede che si possa estrarre gas e petrolio “fino ad esaurimento scorte”, senza limite di tempo. Non si chiede un parere sulle nuove e future trivellazioni (come qualcuno ha erroneamente inteso), quelle sono già possibili (oltre le 12 miglia) per il decreto “Sblocca Italia” varato dall'attuale governo. Ci si chiede invece se siamo favorevoli alla dismissione graduale dei pozzi già esistenti, situati entro le 12 miglia marine dalle coste italiane. In Sardegna non abbiamo giacimenti così vicini alla costa, ma pensare che il referendum non ci riguardi da vicino sarebbe da incoscienti, dal momento che abbiamo una politica energetica ferma ai tempi del carbone e un giorno sì e l'altro pure arrivano sull'Isola idee strampalate sullo sfruttamento del nostro territorio a tutti i livelli.

Purtroppo, ad oggi la stragrande maggioranza degli elettori non solo non sa di cosa parla il quesito del referendum, ma non sa neppure che il 17 aprile ci sarà un referendum. La TV, che nonostante internet sembra godere di un potere di persuasione pressoché inalterato nel tempo, non informa a dovere, e contribuisce al possibile fallimento del referendum. Contribuisce significativamente perché per poter essere preso in considerazione il referendum deve essere partecipato da almeno il 50% più uno degli aventi diritto. Occorre raggiungere il quorum, altrimenti saranno i nostri beneamati rappresentanti a Roma a decidere per noi, anche stavolta. Il Referendum è il solo strumento di democrazia diretta che esiste in Italia e non viene visto di buon occhio da molti politici, che non vogliono sentirsi privati del potere di decidere le sorti dei cittadini dai cittadini stessi. Allora, dal momento che non si può vietare il referendum, si gioca la carta micidiale del silenzio. Non se ne parla mai o quasi mai in TV. La stessa strategia è stata usata qualche anno fa con il referendum sulla privatizzazione dell'acqua, con esiti fortunatamente fallimentari. Uno straordinario movimento dal basso era riuscito a stravolgere il silenzio calato sul voto.
Come detto sopra, il quesito non chiede di bloccare le nuove trivellazioni, che sono tutt'oggi possibili oltre le 12 miglia, ma di bloccare quelle dei pozzi esistenti entro detto limite.
Se si tratta di impianti già esistenti perché è importante andare a votare per il SI?

Innanzitutto per dare un segnale chiaro e forte che è ora di pensare ad una nuova politica energetica, che punti più sulle rinnovabili e sul rispetto dell'ambiente. La ricerca e l’estrazione di idrocarburi hanno un notevole impatto sulla vita del mare, ed essendo l'Italia circondata da  un mare chiuso, un eventuale incidente anche piccolo porterebbe danni incalcolabili e ripercussioni disastrose sull'ambiente, la pesca e il turismo delle nostre coste. L'Italia inoltre dipende fortemente dall'importazione di petrolio e gas dall'estero, e in nessun modo aumentare l'estrazione dai nostri fondali può farci risparmiare il becco d'un quattrino. Gli idrocarburi presenti nel sottosuolo appartengono allo Stato, ma lo Stato dà in concessione la possibilità di poterli estrarre a società private. Questo significa che una volta estratti, petrolio e gas appartengono alle suddette società, per lo più straniere, che ne dispongono come meglio credono. Oltretutto, secondo alcune stime, anche se tutto il petrolio presente nel sottosuolo italiano fosse nella disponibilità dello Stato, questo sarebbe appena sufficiente per coprire il fabbisogno di sole 7 settimane.

La sensazione è che non ci sia davvero alcuna ragione per votare NO al referendum del 17 Aprile. Inoltre, pare che un fallimento del referendum per mancanza del quorum possa fare contento solo chi fa affari con quei pozzi: società multimilionarie e politici compiacenti. La sonante vittoria del SI, oltre ad essere un segnale di notevole maturità sociale, darebbe il là ad una seria riflessione sulla nostra politica energetica. In Sardegna come altrove abbiamo bisogno di modelli di sviluppo economici diversi, non più dipendenti dagli idrocarburi. Sarebbe opportuno investire in progetti di risparmio ed efficienza energetica e sfruttamento delle energie rinnovabili, consentendo la creazione di nuovi posti di lavoro e una concreta alternativa al petrolio.

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