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I due italiani raccontano la prigionia in Libia: “Picchiati e lasciati per giorni senza cibo”

Pollicardo e Calcagno interrogati 6 ore: «Fino a mercoledì eravamo tutti e 4 insieme. Ci siamo liberati da soli». Si tratta per il rientro delle salme, ira dei familiari: ora la verità

Da La Stampa

Si sono liberati da soli, Gino Pollicardo e Filippo Calcagno, i tecnici rapiti in Libia e tornati in Italia all’alba dopo otto mesi di prigionia. Otto mesi durante i quali, insieme ai due compagni uccisi, Salvatore Failla e Fausto Piano, hanno subito violenze psicologiche e fisiche, sono stati presi a calci e pugni, colpiti con il manico di un fucile e tenuti senza cibo per giorni. È il racconto fatto dagli ex ostaggi dopo sei ore di audizione di fronte al pm della procura di Roma Sergio Colaiocco.

L’aereo che li ha riportati a casa, dopo che ieri per ore è andata avanti una trattativa serrata con Sabrata, è atterrato a Ciampino alle 5. Ai piedi della scaletta, il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni. I due tecnici sono stanchi; non più stravolti come nelle prime immagini dopo la liberazione in Libia: si sono rasati, cambiati, addosso hanno un giubbotto blu. Ma l’esperienza che hanno vissuto è stampata sulle loro facce. A pochi metri dall’aereo, mogli e figli li attendono e appena li vedono, si precipitano.

Qualche ora dopo, poco prima di mezzogiorno, l’abbraccio con i familiari lascia il posto alla deposizione di fronte al magistrato nella caserma del Ros: sei ore di colloquio e domande, che permettono di dare contorni più certi alla vicenda. I punti fermi sono che i 4 ostaggi sono stati tenuti prigionieri da un gruppo islamista non direttamente riconducibile all’Isis, quasi certamente una banda di criminali comuni. Due le prigioni in cui sono stati sequestrati, sempre nella zona di Sabratha e sempre dalle stesse persone. I carcerieri erano due, si davano il cambio: tra loro, una donna. Calcagno e Pollicardo, i sopravvissuti, sono riusciti a liberarsi da soli venerdì scorso: mercoledì, i carcerieri avevano prelevato Failla e Piano forse per effettuare un trasferimento in una nuova prigione. Da allora gli altri due non hanno più incontrato i loro carcerieri e a un certo punto hanno sfondato la porta e sono riusciti a fuggire.

Fino ad allora i quattro erano sempre stati assieme. Da quel momento le loro storie si sono divise. Per questo Calcagno e Pollicardo non hanno saputo nulla della sorte tragica dei compagni fino all’arrivo a Roma. Una circostanza emersa anche dalle parole del premier Renzi: «Da parte nostra - ha detto - ci sarà tutto il sostegno necessario alle famiglie delle vittime e ai due» italiani rapiti in Libia «che sono rientrati e hanno saputo solo stamattina della sorte dei due colleghi».

I paesi di origine di Calcagno e Pollicardo, Piazza Armerina in Sicilia e Monterosso in Liguria, si sono preparati per accoglierli. A Capoterra in Sardegna e a Carlentini in Sicilia, si attendono invece le salme delle due vittime, non ancora rientrate in Italia; né appare chiaro quando questo avverrà. L’autopsia sarà centrale per stabilire le cause della morte. Quello che, per ora, filtra da fonti qualificate è che non troverebbero riscontro né le ricostruzioni secondo cui i due sarebbero stati usati come scudi umani né quelle di un colpo alla nuca.

Altro tassello è quello delle «responsabilità», evocato oggi da Renzi: «Dovremo capire perché i 4 italiani sono entrati in Libia quando c’era un esplicito divieto». «Eravamo in Libia per un ruolo ben preciso, abbiamo adempiuto tutti gli obblighi di legge», ha detto da parte sua Paolo Ghirelli, numero uno della Bonatti, la società per cui i quattro lavoravano.

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