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I curdi a Roma ma l'Isis attacca Kobane

Casetta Rossa KobaneNella capitale una serie di iniziative con i miliziani che combattono contro gli estremisti islamici, intanto nella notte attaccata la città simbolo della loro resistenza con una serie di attentati: sotto accusa la Turchia.

In questi giorni Roma ospita una serie di incontri con i combattenti curdi che nel silenzio dei grandi media (e con l’ostilità più o meno celata di potenze locali – come la Turchia – e globali, come gli Stati Uniti) combattono contro i fanatici islamisti dell’Isis, riuscendo anche a liberare intere aree in territorio siriano e iracheno, come la città di Kobane e il cantone del Rojava. Oggi, la notizia è che i miliziani dello Stato islamico, che tutto l’occidente considera “nemici dell’umanità”, salvo evitare di combatterli seriamente e rifiutare di sostenere chi lo fa, sono rientrati proprio a Kobane, con una serie di attentati che avrebbero provocato almeno 40 morti e 75 feriti. Addirittura, l’Ansa e altri media italiani (questi ultimi probabilmente ingannati dal “lancio” di agenzia) hanno pubblicato la notizia che gli islamici avrebbero riconquistato la città simbolo della resistenza curda, subito smentiti dagli stessi miliziani del Ypg, che invece precisano come gli uomini dell’Isis sarebbero asserragliati in alcuni edifici. I curdi attaccano anche i turchi, affermando che i miliziani islamici sarebbero entrati in Siria dal confine turco, e nonostante la smentita del governo di Ankara i dubbi restano, considerata l’avversione del potere di Erdogan alla minoranza che esprime il “terrorista” Pkk del prigioniero politico Abdullah Ocalan.

Proprio ieri, lo spazio autogestito Casetta Rossa di Roma aveva ospitato un’iniziativa della “Staffetta romana per Kobane”, con la partecipazione della comandante dello Ypg Nessrin Abdalla, che ha raccontato l’esperienza della guerra e della gestione nelle aree governate dai curdi, sul modello “libertario” del confederalismo democratico. Un incontro toccante sulla realtà dei combattenti curdi e soprattutto delle donne, in quella che è forse l’unica realtà di tutto il Medio Oriente in cui sono considerate alla pari degli uomini e possono combattere contro i loro primi oppressori, gli estremisti religiosi che usano il Corano come un’altra arma. Molta emozione tra il pubblico, mediamente quello tradizionale “di sinistra”, quando la comandante ha ripetuto, come già detto a "Il Manifesto" che "noi non siamo mili­tari, siamo mili­tanti, non siamo pagati per fare la guerra, siamo come par­ti­giani della rivo­lu­zione. Viviamo con il nostro popolo, seguiamo una filo­so­fia, un pro­getto poli­tico. Con­tem­po­ra­nea­mente por­tiamo avanti una lotta di genere con­tro il sistema patriar­cale. Gli altri com­bat­tenti sono nostri com­pa­gni, abbiamo rap­porti poli­tici e di ami­ci­zia". Certo, dopo i fatti di oggi c’è da ripensare anche alle parole di Abdalla quando ha ricordato che la loro battaglia è “per tutta l’umanità”, e forse sarebbe il caso che la consapevolezza della sua importanza uscisse da un circuito ristretto e assumesse l’importanza  che merita, per tutta la popolazione e le forze politiche anche italiane. Prima che si avveri la facile profezia di una piccola minoranza, come successo troppe volte nella storia con tanti olocausti, primi fra tutti quelli del secolo scorso.

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