Logo

MA CUCCHI SI UCCISE DA SOLO?

Stefano CucchiAssolti poliziotti e infermieri per la morte in carcere del giovane romano.

Ma Stefano Cucchi si uccise da solo, il 22 ottobre di quattro anni fa nel carcere di Regina Coeli? E' la domanda che nasce spontanea dopo la sentenza che oggi ha visto l'assoluzione degli agenti di Polizia penitenziaria e degli infermieri che lo avevano avuto in custodia, e solo lievi condanne per omicidio colposo ai medici che si occuparono di lui durante i 17 giorni di custodia cautelare che condussero alla morte del giovane romano. Il 31enne, epliettico, fu processato per direttissima poco dopo il suo arresto per possesso di droga, e mantenuto in custodia cautelare nonostante le sue condizioni fisiche fossero evidentemente precarie. Nella successiva visita al Fatebenefratelli gli furono riscontrate lesioni ed ecchimosi alle gambe, al viso (inclusa una frattura della mascella), all'addome (inclusa un'emorragia alla vescica) ed al torace (incluse due fratture alla colonna vertebrale).

Tutte lesioni che, non essendo state responsabilità dei medici (che semmai le avrebbero mal valutate), Cucchi dovrebbe essersi procurato da solo, magari in maniera casuale o cadendo dalle scale come è stato sostenuto durante il processo. Oppure è morto di anoressia e tossicodipendenza, magari perché sieropositivo, come sostenuto in passato dall'allora sottosegretario Carlo Giovanardi?
O forse ad aiutarlo a morire è stato il fatto che qualcuno lo ha pestato durante il soggiorno in carcere? Usando il buonsenso sembra un'ipotesi probabile, ma evidentemente non la pensano così i giudici (almeno quelli del primo grado), oppure non pensano che delle botte siano responsabili gli assolti di oggi. Se è così, è giustissimo che agenti e infermieri escano dal processo e vengano lasciati in pace, ma allora sarebbe urgente mettersi sulle tracce dei veri responsabili, da parte delle forze dell'ordine, anche per fugare ogni dubbio sul loro operato in questa vicenda.

Non resta che attendere con fiducia che questo accada. Intanto, si deve notare che ancora una volta, per violenze o decessi di persone sotto custodia dello Stato, si legge una sentenza di tutti innocenti (o quasi). Dopo Federico Aldovrandi, Giuseppe Uva, le vittime delle torture alla scuola Diaz e alla Caserma Bolzaneto di Genova e decine di altri (senza voler risalire a Pinelli o al cagliaritano Franco Serantini), anche in questo caso non si riesce a capire come Cucchi possa essersi procurato lesioni così gravi, senza che nessuno gliele abbia causate. Alla lettura della sentenza, in aula si è gridato "vergogna, assassini", mentre la sorella di Stefano, Ilaria, che più di tutti si è battuta per avere giustizia ha affidato la sua rabbia ad un lungo post su Facebook, che riportiamo integralmente:

"Chiedo scusa a nome di Stefano per il danno che la sua permanenza al Pertini e la sua morte hanno procurato al buon nome del dott. De Marchis e della dott.ssa Di Carlo. Chiedo scusa per il disturbo arrecato.
In fondo era un tossicodipendente, e non dimentichiamo che era lì perché aveva commesso un reato.
Cosa valeva la sua vita rispetto alla carriera e l'onorabilità di persone che 'salvano la vita alla gente'?
E mi rendo conto sempre di più che la vita di mio fratello non era considerata tra quelle da salvare.
Stefano non ha più voce per dire che lavorava, che andava in palestra. Che le sue vene non erano massacrate dalla droga, della quale non c'era traccia dopo la sua morte...
E che immaginava un futuro come tutti noi.
Lui non c'è più. Quindi tanto vale che i loro avvocati lo massacrino pure da morto. Se si tratta di salvaguardare coloro che quasi sempre salvano la vita alla gente. Sempre che 'la gente' non sia un detenuto in attesa di giudizio tossicodipendente.
E cosa importa il dolore di un padre e di una madre, che per quella vita avrebbero dato l'anima, pur senza mai farne un santo, nel vederlo calpestato e spogliato di quello che era?
Diciamo che non è stato curato perché come tutti i tossicodipendenti non era collaborativo.
E dimentichiamo il giuramento d'Ippocrate.
Tanto era un tossicodipendente.
Ma si. Mettiamoci una pietra sopra e salviamo il salvabile. Tanto se l'è cercata.
E diffondiamo la sua foto nei centri di recupero. Così tutti sapranno che di droga si muore in quel modo, come ha avuto la brillante idea di affermare uno degli avvocati dei poveri medici".

Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.