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Mal di pietre di Milena Agus

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Nonna conobbe il Reduce nell’autunno del 1950. Arrivava da Cagliari per la prima volta in Continente. Doveva compiere quarant'anni, senza bambini perché su mali de is perdas glieli faceva sempre abortire nei primi mesi. Allora, con il suo soprabito a sacchetto e le scarpe alte coi lacci e la valigia del marito quando era sfollato in paese, fu mandata alle Terme per curarsi.

Si era sposata tardi, nel giugno del 1943, dopo i bombardamenti degli Americani su Cagliari, e a quei tempi avere trent’anni senza ancora sistemazione era come essere già un po’ zitella. Non che fosse brutta, o che le mancassero i corteggiatori, anzi. Solo che a un certo punto i pretendenti diradavano le visite e poi non si facevano più vedere, sempre prima di avere chiesto ufficialmente al mio bisnonno la sua mano. Gentile signorina, cause di forza maggiore mi impediscono questo, nonché il mercoledì venturo, de fai visita a fustetti 2, cosa che sarebbe a me graditissima, ma purtroppo impossibile. Allora nonna aspettava il terzo mercoledì, ma sempre arrivava una pipiedda 3 con la lettera che rinviava ancora e poi più niente.

Il mio bisnonno e le sue sorelle le volevano bene anche così, un po’ zitella, ma la mia bisnonna no, la trattava sempre come se non fosse sangue del suo sangue e diceva che sapeva lei perché.

La domenica, quando le ragazze andavano a messa o a passeggiare nello stradone a braccetto con i fidanzati, nonna raccoglieva in una crocchia i suoi capelli, ancora folti e neri quando io ero piccola e lei già anziana, figuriamoci allora, e andava in chiesa a chiedere a Dio perché, perché era così ingiusto da negarle la conoscenza dell’amore, che è la cosa più bella, l’unica per cui valga la pena di vivere una vita in cui ti alzi alle quattro del mattino per le faccende domestiche e poi vai nei campi e poi a scuola di ricamo noiosissimo e poi a prendere l’acqua da bere alla fontana con la brocca in testa e poi stai sveglia una notte intera ogni dieci per fare il pane e poi tiri su l’acqua dal pozzo e poi devi dare da mangiare alle galline. Allora, se Dio non voleva farle conoscere l’amore, che la ammazzasse, in un modo qualunque. In confessione il prete le diceva che questi pensieri erano un peccato gravissimo e che al mondo ci sono tante altre cose, ma a nonna delle altre cose non gliene importava niente.

Un giorno la mia bisnonna la aspettò nel cortile con la zironia, che era un nerbo di bue, e iniziò a colpirla sino a farle venire le piaghe persino sulla testa e la febbre alta. Aveva scoperto da voci che correvano in paese che i pretendenti andavano via perché nonna gli scriveva poesie d’amore infuocate che alludevano anche a cose sporche e che sua figlia stava infangando non solo se stessa, ma tutta la sua famiglia. E continuava a colpirla, a colpirla e a urlarle: “Dimonia! dimonia!” e a maledire il giorno in cui l’avevano mandata in prima elementare e aveva imparato a scrivere.


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Una storia che si legge come si beve un bicchiere d’acqua in una giornata afosa. Una scrittura rinfrescante, piacevole, magica. Centoventi pagine di pura delizia narrativa.

Una storia piccolina, intima, scritta bene, che il lettore ricorderà a lungo soprattutto per il finale inaspettato.

Siamo in Sardegna, e la giovane nipote racconta la storia della sua famiglia e in particolar modo della Nonna: di quando era una giovane ragazza considerata matta e forse posseduta perchè anelava a quella cosa per cui vale la pena di vivere e che purtroppo non riusciva ad avere. Di come la famiglia la costrinse a sposare un vedovo durante la seconda guerra mondiale. E di come, grazie a un soggiorno alle terme per curare il mal di pietre cioè i calcoli renali, incontrerà il Reduce, sposato e con una bimba che lo aspetta a MIlano.

Finalista al Premio Strega del 2007 il libro è stato tradotto in numerosi paesi riscuotendo ovunque un enorme successo.

E’ un libro sulle occasioni perdute e su quelle prese al volo, sull’amore imposto e su quello sognato, sul desiderio carnale e sulle affinità elettive e non è detto che le due cose alla fine non arrivino a coincidere e perchè forse alla fine di tutto la cosa più importante non è non aver avuto rimpianti ma aver imparato ad amare ciò che si ha.

Possiamo sempre inventarci un’altra vita per sognare un po’ e non è detto che alla fine il nostro trantran quotidiano che ci sembrava così poca cosa non sia stato invece carico d’amore e di passione.

Una storia scritta con semplicità ma che rimane nella mente del lettore: la natura, le piccole abitudini di tutti i giorni, la bellezza fatta di lunghi capelli neri e occhi grandi e l’amore passionale e taciturno.

Un libro che incanta come una favola ed emoziona con la potenza della semplicità.

 

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