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IL GIARDINO DEI SICOMORI | Capitolo 3

Un thriller avvincente e dal ritmo serrato ambientato in Sardegna!

IL GIARDINO DEI SICOMORI
di Luigi Citroni
CAPITOLO III

- Lo sentite anche voi quest’odore intenso? - disse una voce grave con gli occhi chiusi e il viso rivolto verso il soffitto.

- E’ un aroma inconfondibile. È tra i più potenti al mondo, e ci vuole veramente poco prima che si diffonda come un gas in ogni dove-. 
 
Quelle parole viaggiarono nell’aria come pulviscolo in una stanza oscura. Al di là di esse la notte luminosa risplendeva sopra una casupola avvolta da immensi campi di gran turco. 
La sterminata volta stellata si adagiava pacatamente lungo l’orizzonte, e indifferente lasciava che il maestrale fischiasse, e che le mura di castagno tremassero a ogni soffio come fili d’erba in primavera. 
 
-È la paura- riprese la voce -la vostra paura. Quella che vi sta facendo pentire di essere nati. Quella che vi farà maledire i vostri genitori per aver scopato quella notte, anziché farvi morire in un fazzoletto- dopo un sospiro proseguì - le vostre lagne sono il mio piacere, e le vostre lacrime sono la conferma che in questo mondo esiste giustizia. È la prova che in qualche modo è possibile trovare un ordine generale. Dove chi deve soffrire è giusto che lo faccia, e chi al contrario ha il gravoso compito di tenere in mano lo scettro dell’oppositore, si crogioli tra le afflizioni delle sue vittime. È l’unico vero e sensato ordine morale. Un ordine puro come la tempesta-.
 
I singhiozzi sommessi si placarono in un istante catapultando l’interno dell’abitazione in un silenzio inquietante. Le lacrime scese impetuose come rapide attraverso i canyon, evaporarono dalle guance di un uomo, una donna e due bambini immobilizzati con funi robuste a una biga portante nel bel mezzo della casa.
Rimasero attoniti ad ascoltare quella voce parlare, seduta a pochi metri da loro, mentre i minuti passavano, e in loro un dubbio iniziale pian piano diventava certezza.
 
- Se devi ucciderci…uccidi solo me. Risparmia gli altri. Risparmia i mie figli. Per favore- disse l’uomo.
- No- sussurrò la voce- non posso. Sarebbe qualcosa di orribilmente ingiusto risparmiare anche solo qualcuno di voi. Voi morirete. Tutti. Stanotte, e lo farete nel peggior modo possibile-
A queste parole la donna riprese il suo lamento straziato biascicando preghiere. Supplicando pietà. E con lei i bambini, ancora rintontiti da un potente sonnifero ingerito inconsapevolmente qualche ora prima.
In quel momento la voce si alzò dalla sedia e zoppicando si avvicinò a lei. Si inginocchiò e con delicatezza le sfiorò la guancia raccogliendo una lacrima galoppante lungo il viso.
- Le vostre urla si udiranno in ogni dove- sussurrò – fin quando non cesserete di gridare sotto il peso del vostro dolore. E allora un tormento senza fine vi piegherà come fiori appassiti dal troppo sole. Quando verrà l’alba, e i fumi del giorno si disgregheranno nell’atmosfera, io avrò il mio pegno. Avrò la mia catarsi. E voi sarete un tiepido ricordo. Sarete la memoria dell’uomo che muore sotto il peso della giustizia-.
- Non succederà figlio di puttana- gridò l’uomo dimenandosi come una bestia imprigionata.
Con gli occhi gonfi di rabbia iniziò a inveire contro un’imponente figura, dal volto solcato da profonde cicatrici.
- Ti sgozzo come un maiale e ti metto fuori a farti mangiare dai cani e dai corvi- concluse.
- Aaaaah- sospirò la voce -proprio quello che volevo. È proprio l’odore che cercavo. Quello della paura che si trasforma in rabbia e che in un secondo diventa nuovamente paura. È un qualcosa di tangibile che si può persino leggere negli occhi. Se ti lasciassi andare- proseguì – penseresti di essere capace di uccidermi a morsi come un cane. E ci proveresti certo. Lo faresti per garantire la vita dei tuoi figli e di tua moglie. Ma il terrore…il terrore ti renderebbe debole. Ti renderebbe vulnerabile e così capiresti che quella paura tramutata in rabbia non sarebbe sufficiente a garantirti la vita. Sarebbe pura e semplice avventatezza. E per l’avventatezza si può morire-. 
Con fatica l’uomo sollevò la sua ingombrante massa adagiata da qualche secondo sulle ginocchia. Prese le distanze dai quattro e con altrettanta fatica si sedette nuovamente nel trespolo da cui osservò fino a quel momento una famiglia di agricoltori tenuta in ostaggio ormai da qualche ora.
- Sarebbe quel pensiero- continuò – il dubbio che l’odio provato ora nei miei confronti, non sia altro che pura e semplice paura, a condurti dritto verso la morte.
Ma voi non potete capire queste parole. Voi non avete conosciuto e respirato la paura. Voi siete mosche che girano attorno al letame. Grasse e fetide. Siete insetti infestanti e per questo è giusto affossare ogni vostra componente proprio come il fuoco riduce foreste secolari a un pugno di cenere -.
Dopo queste parole, l’uomo con fare lento e maldestro fece qualche passo in direzione della porta e dopo di che, dopo aver preso una tanica piena di benzina, zoppicando, tornò al suo posto.
Il terrore ormai padrone dei quattro contadini si fece ancor più ingombrante alla vista di un bidoncino in lamiera colmo di carburante.
- Non puoi farlo- disse l’uomo – ti prego se devi ucciderci sparaci. Almeno a mia moglie e ai miei figli. Ti prego faremo tutto quello che vuoi ma non farlo.
- Un altro profumo che manda i miei sensi in estasi è quello della benzina- disse l’uomo aspirando a pieni polmoni l’aroma rilasciato dalla tanica aperta – è il catalizzatore perfetto del mio pensiero. Tutto ciò che sarà è qua dentro-.
Dal taschino della sua giacca verde militare, l’uomo prese un sigarello monco, fumato per metà.
Con un cerino lo accese e sputò il fumo dritto verso i bambini che ancora storditi e lamentosi iniziarono a tossire copiosamente.
- La prego…perché? – chiese la donna consumata dal dolore. Persa in una mare di lacrime.
- Perché è giusto che voi siate l’esempio – rispose. 
Detto ciò l’uomo si alzò con in braccio la tanica, e con gesto deciso iniziò a cospargere di benzina l’intera abitazione. In quel momento un sussulto di incredulità interruppe la disperazione dei due genitori che si videro in pochi istanti zuppi e maleodoranti.
- Sarete l’esempio- continuò a dire la voce – non abbiate timore del fuoco. Sarete l’esempio. Risplenderete come stelle nell’oscurità. Sarete l’esempio per tutti -.
Dopo aver scaricato l’intero contenuto del bidoncino su ogni cosa presente oltre a lui, con un inchino si congedò dai suoi ostaggi.
Aprì la porta, uscì e aspettò qualche secondo in rigoroso silenzio.
In men che non si dica le urla dei poveri contadini scaturirono un ghigno involontario sul volto dell’uomo. Grida disperate in cerca d’aiuto durate fin quando il sigaro divenne un mozzicone ormai privo di piacere. 
In pochissimi istanti la casa prese fuoco. Le fiamme si alzarono maestose fino a toccare il cielo e le urla delle povere vittime riecheggiarono roche per ettari ed ettari lungo le valli, e attraverso le colline.
L’uomo rimase immobile a osservare l’infausto spettacolo.
Fino a quando il silenzio calò sulle spoglie di un’abitazione purificata dalle fiamme. 
Allora voltò le spalle ai corpi carbonizzati e claudicante si inoltrò nei vasti campi poco distanti, e in un uggioso mattino di settembre svanì d’incanto come cenere nel vento. 
Indice dei capitoli: IL GIARDINO DEI SICOMORI | Thriller ambientato in Sardegna
 
Foto: Pixabay | Tama66 | CC0
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