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Beni culturali a rischio, caldo e scorie: ecco lo stato dell’ambiente

Tantissimi i monumenti in pericolo a causa di sismi, frane e vulcani, temperature in costante rialzo e ancora tante scorie nucleari in attesa del deposito.

Come sta l’ambiente in Sardegna e in Italia? Così così, a giudicare dai dati contenuti nell’Annuario ISPRA dei dati ambientali: ci sono problemi legati alle scorie nucleari, l’inquinamento dell’aria, la produzione ancora massiccia di scorie radioattive in molte regioni, le frane in generale il dissesto idrogeologico, ma anche le alghe tossiche e le specie aliene nei nostri mari. Come purtroppo confermato anche dagli eventi degli ultimi mesi, quella italiana è una terra a forte rischio sismico, secondo alcuni l’isola fa eccezione ma non è del tutto vero: finora, comunque, ad essere messi in pericolo da terremoti come quelli che recentemente hanno colpito Marche, Umbria e Lazio, non sono state soltanto le persone e le loro abitazioni. Infatti, i beni culturali situati in comuni classificati in zona sismica 1 (suscettibili, pertanto, di essere colpiti da forti sismi) sono 10mila 297, pari al 5,4% del totale. Il 28% dei Siti Unesco italiani è situato in zone ad alta sismicità, e a minacciare il patrimonio culturale c’è anche la pericolosità vulcanica: sono infatti 3mila 064 (l’1,6% del totale) i beni situati in aree sensibili da questo punto di vista. Del resto è la cronaca a dirci che ieri è stata riaperta la Basilica di Santa Rita da Cascia, mentre sono ormai celebri (e simboliche) le immagini del crollo di quella di San Benedetto a Norcia, in occasione delle scosse del 30 ottobre, mentre il sisma del 1997 aveva causato il crollo parziale della Basilica di San Francesco di Assisi.

Deposito nucleare e temperature troppo alte

I rischi però non arrivano solo da eventi naturali come il terremoto: nel report dell’ente pubblico ambientale si dice che in molte regioni sono presenti attività che producono rifiuti radioattivi, proprio quelli su cui da anni dura una querelle relativa alla possibile collocazione di un deposito permanente che li raccolga, con la Sardegna continuamente indicata come la sua possibile destinazione: la produzione invece avviene per lo più in Piemonte, il 73,8% del totale, in Campania (11,9%) e Basilicata (8,9%), mentre per quanto riguarda i volumi, la maggiore concentrazione si trova nel Lazio (27,6%), ancora in Piemonte (19%) e Lombardia (15,8%). Forse se proprio si deve fare un deposito nazionale sarebbe più logico che venga costruito in una di queste regioni. Sempre riguardo agli impatti causati dall’uomo, l’Annuario segnala note dolenti per la temperatura media: l’aumento registrato negli ultimi 30 anni nel nostro Paese è stato quasi sempre superiore a quello medio globale rilevato sulla terraferma. Il 2015 è stato l’anno più caldo dal 1961, mentre l’anomalia della temperatura media (+1,58 Gradi Centigradi) è stata superiore a quella globale sulla terraferma (+1,23°C) e rappresenta il 24esimo aumento annuale consecutivo.

Buone notizie per fiumi e spiagge

Il 66% di tutte le frane censite in Europa si sono verificate in Italia (600mila su 900mila totali), e gli eventi di questo tipo hanno causato 12 vittime nel solo 2015: ben 271 sono state le frane importanti, con danni a rete stradale e ferroviaria. Secondo le stime, 503mila 282 cittadini sono residenti in aree a pericolosità di frana molto elevata, 744mila 397 in aree a pericolosità elevata.
Le buone notizie arrivano soprattutto dalle acque. Per quanto riguarda quelle sotterranee, su 1.053 corpi idrici identificati a novembre 2016, il 59% ricade in classe “buono” sia per lo stato chimico sia per lo stato quantitativo. Per quanto riguarda invece le acque superficiali (7mila 494 corpi idrici fluviali e 347 corpi idrici lacustri), il 43% dei fiumi raggiunge l’obiettivo di qualità per lo stato ecologico e il 75% per lo stato chimico; tra i laghi, l’obiettivo di qualità è raggiunto dal 21% dei corpi per lo stato ecologico e dal 47% per lo stato chimico.
Pollice in alto anche per lo stato delle acque costiere di balneazione, che rappresentano il 33% di quelle monitorate in Europa: il 90% di esse risulta essere di qualità eccellente e il 4,8% buona. Gli ambienti marini sono tuttavia vittime, come anche quelli terrestri, dell’assalto di specie alloctone invasive, complici i cambiamenti climatici e la globalizzazione: recentemente è stata rilevata la presenza, nel bacino Mediterraneo, di alghe pericolose come l’Ostreopsis cf. Ovata, riscontrata negli anni scorsi anche nei mari dell’isola, che può causare intossicazioni con febbre e altri sintomi simili a quelli dell’influenza.

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