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Bracconaggio: Il Sud Sardegna tra le zone più a rischio

Secondo una ricerca dell'ISPRA il Sulcis è uno dei sette Black-spot nazionali dove si pratica maggiormente la caccia di frodo contro gli uccelli, in particolare tordi, ma vengono colpite anche altre ricchezze del nostro patrimonio faunistico.

La Sardegna, in particolare la parte meridionale dell’isola, è una delle zona maggiormente a rischio per quanto riguarda il bracconaggio degli uccelli. Lo dice un’indagine condotta dall’ISPRA, che ha individuato su tutto il territorio nazionale ben sette di quelli che definisce “Black-spot”, aree in cui la caccia di frodo risulta particolarmente intensa, a cui se ne aggiungono molte altre in cui questa attività appare “comunque più frequente che nelle restanti parti del territorio”: per quanto riguarda la Sardegna la forma di bracconaggio più diffusa è quella che interessa i tordi, praticata principalmente tra novembre e febbraio nel Sulcis meridionale.

I mezzi di cattura tradizionali usati nell’isola sono rappresentati in primis dai crini di cavallo, disposti sopra un rametto tra la vegetazione in modo da formare un cappio per gli uccelli che si posano. Oggi molto spesso – affermano gli esperti ISPRA - “al posto dei crini vengono impiegati fili di nylon; inoltre sono utilizzate reti e trappole. Altro sistema utilizzato è un laccetto ancorato a terra per mezzo di filo di ferro, su cui viene infissa una bacca come esca”.
I tordi vengono uccisi per essere venduti ai ristoratori locali per la preparazione di un piatto tipico, le ”grive” al mirto. Anche in questo caso, dal momento che i mezzi di cattura non sono selettivi, oltre ai tordi vengono uccisi uccelli appartenenti a molte altre specie: tra le vittime più frequenti ci sono “pettirossi, occhiocotti, pernici sarde, fringuelli e frosoni”. Anche gli uccelli acquatici sono oggetto di bracconaggio, praticato spesso di notte, mediante “l’utilizzo di mezzi di caccia vietati (come i richiami acustici elettronici), anche in aree protette ed in periodi in cui la caccia è chiusa, a danno di specie cacciabili e protette”.

Le altre aree italiane che rappresentano black-spot di caccia illegale sono le Prealpi lombardo-venete, il Delta del Po, le coste pontino-campane, le coste e zone umide pugliesi, la Sicilia occidentale e lo Stretto di Messina. A rischio anche territori come quello della Liguria, la fascia costiera della Toscana, la Romagna, le Marche, il Friuli-Venezia Giulia.  Il Ministero dell’Ambiente, avvalendosi “del supporto scientifico e tecnico” fornito dall’ente pubblico di ricerca, è stato per questo incaricato “di redigere una bozza di piano d’azione nazionale da sottoporre a consultazione pubblica e quindi ad approvazione nelle sedi istituzionali da parte delle amministrazioni competenti”, per cercare di eliminare o quantomeno frenare un fenomeno che mette a forte rischio parti fondamentali del nostro patrimonio faunistico.

Foto | ISPRA

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